POTERI

Travaglio sulla liberazione di Assange (e sulla stampa italiana)

Travaglio sulla liberazione di Assange (e sulla stampa italiana)

Fate schifo 
/ di Marco Travaglio

E niente, non ce la fanno proprio i cosiddetti “giornalisti” italiani a rendere omaggio a Julian Assange, il collega (senza offesa per lui) che ha nobilitato la professione mentre loro la sputtanavano a suon di veline, marchette e autobavagli. Non ce la fanno a scandalizzarsi perché Usa e Uk, celebri culle della democrazia, l’hanno costretto a vivere per 12 anni da sepolto vivo prima nell’ambasciata ecuadoregna e poi in una cella d’isolamento senza uno straccio di processo.

Non ce la fanno a dire che il presunto Impero del Bene ha trasformato un attivista pieno di entusiasmo, di valori e di coraggio in una larva umana con 12 anni di accuse false (persino di stupro), persecuzioni politiche, torture psicologiche e progetti di “ucciderlo con un drone” (brillante idea di Hillary Clinton), fino a estorcergli in cambio della vita una confessione e un patteggiamento per un delitto inesistente, che per le Convenzioni internazionali è una medaglia da Pulitzer: svelare notizie vere e documenti autentici sui segreti e sui crimini del potere.

La stampa mondiale esulta perché Julian è finalmente libero e si allarma per il pericoloso precedente del patteggiamento, che espone ad arresti e condanne chiunque faccia il giornalista sul serio e dissuaderà chiunque altro dall’imitarlo. Intanto la nostra stampa serva schiera i suoi migliori crani embedded, tutta gente che non ha mai trovato una notizia vera in vita sua.

Repubblica, che ha campato per anni su Wikileaks, deplora “l’enorme clamore mediatico e dei fan di Assange” per un fatterello del genere. E s’interroga pensosa: “Eroe? Criminale? Martire della libertà? Giornalista? Agente al soldo altrui?”. Meglio non pronunciarsi. In compenso Chelsie Manning, l’ex analista militare, attivista e whistleblower che gli fornì un bel po’ di carte, è “un ladro”.

Per il Giornale anche Assange è “un ladro di segreti di Stato”, altro che “paladino della libertà”: uno “spione” con la “pancetta da abbrutito” (vedi a non fare palestra? Poi non passi la prova costume). Per la Stampa è un “personaggio controverso” che ha “favorito Trump e autocrati”, un “hacker” forse “putiniano”.

Sul Foglio, la vera spia (della Cia) Giuliano Ferrara raccomanda: “Niente monumenti per Assange, colpevole e libero” che in fondo, dopo essersela cercata, “se l’è cavata” (restare chiusi come sorci per 7 anni in una stanza e per 5 in una cella d’isolamento è una passeggiata di salute). Anzi dovrebbe ringraziare i suoi persecutori: “I nemici degli Usa non muoiono in cella” (Libero), “Julian è libero, Navalny è morto. È la differenza fra democrazia e dittatura…” (il Dubbio).

Infatti la democrazia è quel paradiso che arresta chi dice la verità, ma poi non lo ammazza, o lo libera un attimo prima che crepi. E sono belle soddisfazioni. (Il Fatto quotidiano, 27 giugno 2024)

Armando Spataro e Gianni Barbacetto con Stella Assange a Milano

 

La battaglia (vincente) per Assange è anche quella per un giornalismo libero a casa nostra
/ di Gianni Barbacetto

Julian Assange è finalmente libero. Dopo anni di isolamento dentro l’ambasciata dell’Equador e poi di carcerazione nel Regno Unito, i suoi legali hanno siglato un accordo con il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che gli ha permesso di lasciare il carcere inglese di massima sicurezza di Belmarsh, dove era detenuto dall’aprile del 2019, e di volare verso il suo Paese, l’Australia.

Era accusato dagli Stati Uniti di aver violato l’Espionage Act, una vecchia legge contro lo spionaggio che gli faceva rischiare una pena fino a 175 anni di carcere. Il fondatore di WikiLeaks non è una spia: ha rivelato al mondo il lato oscuro del potere in Occidente, i crimini di guerra degli Usa in Iraq, le violazioni dei diritti umani nella prigione di Guantanamo, i segreti inconfessabili della diplomazia americana.

Ha salvato la dignità dell’Occidente, o almeno ci ha provato, cercando di dimostrare che la democrazia può autocorreggersi, può restituire alla trasparenza anche ciò che viene nascosto perché indicibile. Ha dimostrato che dentro le democrazie ci sono forze che denunciano le storture delle democrazie.

Il lavoro suo e di WikiLeaks era un pericolo per il potere politico e militare che non vuole siano svelati i suoi crimini. Per questo il potere lo ha inseguito e perseguitato per anni. Ora era in attesa della sentenza di una Corte inglese che poteva accettare la sua richiesta di appello, facendo iniziare un nuovo processo nel Regno Unito, oppure rigettarla, consegnandolo agli Stati Uniti, ma forse non prima di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Di fronte a queste prospettive incerte, gli Stati Uniti hanno accettato un accordo. Questo prevede che Assange si dichiari colpevole di uno solo dei capi d’accusa che gli sono contestati, per aver ottenuto e diffuso in modo illegale alcuni documenti considerati sensibili per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. In cambio, il dipartimento di Giustizia ha accettato che Assange sia giudicato da un tribunale federale fuori dal territorio degli Stati Uniti (a Saipan, nelle isole Marianne Settentrionali, un arcipelago nell’oceano Pacifico posto comunque sotto la giurisdizione Usa).

Secondo l’accordo, la condanna di Assange a cinque anni di carcere è sanata dagli anni già scontati in cella nel Regno Unito, dunque la sentenza del giudice di Saipan è il lasciapassare verso la libertà in Australia, dove Assange potrà ricongiungersi alla moglie Stella e ai suoi figli.

Quella stabilita dall’accordo è una soluzione di compromesso, ma che toglie agli Usa il ruolo di accanito persecutore di un giornalista difeso da milioni di persone in tutto il mondo in nome della libertà d’espressione; e ad Assange restituisce finalmente la libertà.

È un momento in cui, anche in Italia, ci rendiamo conto che i poteri attaccano con arroganza il giornalismo libero. Querele temerarie, richieste intimidatorie di risarcimento danni, censure agli scrittori, la Rai occupata dai partiti di governo, direttori cacciati, articoli censurati (come è successo nelle scorse settimane all’Espresso), proposte governative di leggi bavaglio. La grande battaglia (vincente) per la liberazione di Assange è anche la nostra battaglia per un giornalismo libero a casa nostra. (ilfattoquotidiano.it, 25 giugno 2024)

di Marco Travaglio / Il Fatto quotidiano, 27 giugno 2024 di Gianni Barbacetto / ilfattoquotidiano.it, 25 giugno 2024
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