MILANO

Milano, le mani (da nascondere) sulla città

Milano, le mani (da nascondere) sulla città

di Marco Franchi /

La Mani pulite dei grattacieli di Milano è iniziata in sordina nel giugno del 2019. Alcuni abitanti della zona tra piazza Aspromonte e piazzale Loreto vedono dei cartelli affissi che pubblicizzano appartamenti nuovi di zecca in vendita sotto un nome molto green: “Hidden Garden”, giardino nascosto. In realtà si tratta di un palazzone di sette piani, ancora da costruire. Ma dove è previsto che sorga? Dentro il cortile dell’isolato delimitato da piazza Aspromonte, via Garofalo, viale Gran Sasso e via Filippino Lippi, al posto di un fabbricato di due piani, da abbattere. Gli abitanti dell’isolato si oppongono, fanno partire le prime iniziative legali.

Parte così, nel 2022, la prima inchiesta sull’urbanistica milanese, aperta dalla pm Marina Petruzzella. Quel cortile non è un cortile, dice la Commissione Paesaggio del Comune, ma uno spazio residuale, “saturato in modo frammentario e caotico”. Dunque è possibile costruirvi l’Hidden Garden alto 27 metri, un giardino nascosto davvero molto bene.

Nel 2024 le indagini sulle operazioni urbanistiche a Milano si moltiplicano. L’elenco dei palazzi sotto inchiesta per abusi edilizi si allunga settimana dopo settimana. La Torre Milano di via Stresa, le Park Towers di via Crescenzago, il Bosconavigli di viale Troya, i palazzi abbattuti in via Crema e in via Lamarmora, altri palazzi che spuntano dentro i cortili in via Fauchè e in via Lepontina, le torri sul Parco delle Cave, il palazzone di dieci piani progettato in via Anfiteatro, nel cuore del quartiere di Brera.

Si costituisce un piccolo pool di magistrati, a Marina Petruzzella si uniscono Paolo Filippini e Mauro Clerici, con il coordinamento della procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano. Il sindaco, Giuseppe Sala, ammette: sono almeno 150 le operazioni urbanistiche con caratteristiche simili a quelle già sotto inchiesta.

Grattacieli nuovi di zecca fatti passare per “ristrutturazioni”. Palazzi costruiti senza permessi urbanistici ma con semplici autocertificazioni (la Scia, Segnalazione certificata di inizio attività). Convenzioni edilizie non approvate dal Consiglio comunale o dalla giunta, come vuole la legge, ma firmate da un dirigente comunale e dall’operatore che ne fa richiesta e poi trascritte da un notaio, come fossero un affare tra privati. Monetizzazioni degli standard fatte pagare agli operatori, secondo i magistrati, un quarto del prezzo di mercato, facendo perdere alla città in una decina d’anni almeno 1,5 miliardi di euro.

È il cosiddetto “Rito ambrosiano” dell’urbanistica milanese, cioè la consuetudine a edificare con norme fatte in casa, senza “piani attuativi”, che dovrebbero invece assicurare che con l’arrivo di nuovi abitanti in un’area siano garantiti gli “standard” e i servizi necessari, verde, strade, trasporti, asili, fognature…

Le consuetudini “smart” del Comune di Milano sostituiscono le norme urbanistiche e per attirare capitali in città l’hanno trasformata nel lunapark dell’immobiliare, in una sorta di “paradiso fiscale”, dove si costruisce pagando poco e in deroga alle leggi. L’effetto finale, però, è quello di generare una città “premium”, dove i costi del vivere e dell’abitare crescono, i servizi diminuiscono, le disuguaglianze aumentano, molti abitanti sono espulsi. L’azienda dei trasporti pubblici non riesce ad assumere autisti, perché a Milano uno stipendio non basta per vivere.

Il sindaco e l’assessore alla “rigenerazione urbana” Giancarlo Tancredi reagiscono: no, non è il nuovo “sacco di Milano”, ma è la scelta consapevole dell’amministrazione per incrementare lo sviluppo della metropoli: “Non stiamo parlando di un’applicazione superficiale, in questi anni, delle regole da parte nostra e degli uffici, ma di qualcosa che noi abbiamo voluto, cioè di estrema consapevolezza”, dichiara Sala. E ora lo sviluppo è bloccato dalle inchieste della Procura, che fanno scappare gli investitori.

Intanto cambia la narrazione di Milano. La città raccontata fino a ieri come place to be, metropoli premiata dallo sviluppo inarrestabile, diventa la città bloccata dalle indagini della magistratura, che hanno provocato “la paralisi dell’edilizia”, dunque “la fine dello sviluppo della città”.

Le parole-chiave sono “caos”, “groviglio”, “garbuglio”: legislativo, naturalmente. Le norme urbanistiche ed edilizie sarebbero così complesse, intricate, contraddittorie, da giustificare le “incertezze interpretative” che hanno portato alla situazione milanese. Da una parte, il Comune che vuole semplificare e innovare; dall’altra, i pm che si richiamano a norme antiche e superate.

Le prime ordinanze dei giudici chiamati ad esprimersi sulle indagini in corso raccontano tutta un’altra storia: ci sono leggi nazionali e regionali, confermate da sentenze della Cassazione e della Corte costituzionale, che devono essere rispettate; invece il Comune procede con consuetudini santificate da circolari e determine dirigenziali che non possono sostituire le leggi con cui sono in palese contraddizione.

Sindaco, assessore e costruttori sono uniti nel dire che le indagini riguardano non violazioni della legge, ma “interpretazioni normative controverse”. Ma la gip Daniela Cardamone firma la prima bocciatura del “Rito ambrosiano” sostenendo che il Comune di Milano ha agito con “profili di eclatante illegalità” quando permette di tirar su palazzi e grattacieli “senza un piano attuativo, mediante il ricorso illegittimo a una Scia, sostituiva di un permesso di costruire”. Così facendo, viola le leggi urbanistiche e lede i diritti dei cittadini che vivono nella zona dove sorgono le nuove costruzioni, privati dei servizi di cui hanno diritto.

Sulla stessa linea, il giudice Mattia Fiorentini, che ha disposto il sequestro di un cantiere in via Lepontina dove si stava costruendo il “Giardino Segreto Isola”: nascosto anche questo dentro un cortile, è il progetto di una torre di sette piani fatta passare per ristrutturazione di un fabbricato di due piani. Il Comune ha “sistematicamente violato l’abc dei principi costituzionali di legalità”, si legge nel decreto, “a colpi di determine dirigenziali e procedure abnormi”.

Ci ha provato il ministro Matteo Salvini a sistemare le cose. Prima tentando di infilare una norma “salva-Milano” dentro il suo recente condono edilizio: operazione bloccata da Giorgia Meloni e soprattutto dal capo dello Stato. Ora il colpo di spugna bipartisan, l’inciucio salva-grattacieli, sarà tentato e discusso in Parlamento. Il Fatto è uno dei pochissimi giornali che ha raccontato il “Rito ambrosiano”, le inchieste, i tentativi bipartisan di colpo di spugna. La risposta: una mai vista riunione di giunta che decide di trascinare un giornalista davanti al giudice.

Cosa mai vista. Giunta Sala,
la delibera contro un giornalista

di Davide Milosa /

Un atto che stupisce e inquieta quello deliberato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala e dalla sua giunta nei confronti del giornalista del Fatto quotidiano Gianni Barbacetto. Potrebbe sembrare uno scherzo se non fosse tutto scritto in una delibera datata 6 giugno che approva “la citazione avanti al Tribunale civile di Milano per ottenere il risarcimento dei danni subiti dall’Amministrazione Comunale in relazione alle affermazioni diffamatorie diffuse su social network, dal 15 marzo 2024”. Oggetto: la maxi-inchiesta della Procura sulla nuova speculazione edilizia che sta coinvolgendo funzionari dello stesso Comune, oltre a diversi costruttori.

È sotto gli occhi di ogni milanese lo strano fenomeno di grattacieli che nascono dove solo poco prima c’era un capannone o una casa di ringhiera. È l’effetto magico della cosiddetta Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) che tutto permette, superando piani attuativi e oneri di urbanizzazione. A Milano vincono i palazzinari a discapito dei cittadini che si ritrovano con meno servizi, come si legge nel decreto di sequestro del cantiere di via Lepontina.

Le indagini proseguono e il Comune che vuole fare causa è lo stesso per cui lavorano le tre persone, un dirigente, un responsabile e un tecnico dello Sportello unico dell’edilizia del Comune, per le quali il 31 maggio scorso i pm hanno chiesto il processo. Lottizzazione abusiva, abuso edilizio e abuso d’ufficio, le accuse.

E però il sindaco piuttosto che entrare nel merito e dare le necessarie risposte alla città, ha pensato bene di citare in giudizio Barbacetto e non, si badi, per gli articoli pubblicati sul Fatto (nel pezzo qui sopra potete ripercorrerne i contenuti principali), in cui ha mosso critiche non tenere nei confronti dell’amministrazione, ma per alcune domande che legittimamente il giornalista si è posto sui social e, chissà perché, per alcune vignette che Pat Carra, non inclusa fra i soggetti a cui fare causa, ha realizzato a corredo di un suo articolo apparso sul Fatto e poi ripreso dal sito Erbacce.

Su cosa si interroga il giornalista che da cronista ha vissuto e raccontato Mani Pulite? Si chiede, come molti altri, se queste concessioni facili e remunerative per i beneficiari siano state offerte gratis, senza nulla in cambio. Del resto il reato contestato ai funzionari, l’abuso d’ufficio, è ipotizzabile solo se l’indagato abbia intenzionalmente procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale. Semplici domande dunque, ispirate da quel decreto di sequestro e dalla logica, ma nessuna affermazione, visto che tra i reati per cui procede la Procura non vi è quello di corruzione.

Sala risponde con una causa civile per diffamazione chiedendo al giornalista dei soldi. Leggere i passaggi della delibera lascia esterrefatti: “In data 15 marzo 2024 il giornalista ha pubblicato sul proprio profilo Fb e sul social X un post contenente dichiarazioni gravemente lesive dell’immagine del Comune di Milano e del suo apparato amministrativo, alludendo a condotte corruttive poste in essere da dipendenti comunali”.

E ancora: “L’8 aprile 2024 il medesimo ha condiviso, tramite il proprio profilo Fb, un articolo a sua firma, pubblicato su un blog, con corredo di una vignetta gravemente diffamatoria, rappresentativa di uno scambio di bustarelle”, mentre “il 9 maggio ha pubblicato (…) un ulteriore post contenente dichiarazioni gravemente diffamatorie nei confronti del Comune di Milano e del suo apparato amministrativo, reiterando le insinuazioni di condotte corruttive”.

Insomma, vignette e domande, nessuna accusa. Ma tanto basta al sindaco, alla giunta e al segretario generale Fabrizio Dall’Acqua per approvare la delibera. Nel frattempo sul tavolo dei pm arrivano lettere anonime che invitano a indagare su “consulenze” e “incarichi” che i membri della Commissione paesaggio del Comune riceverebbero da costruttori. Gli 11 membri della commissione sono di diretta nomina del sindaco. Tanto che il gip sempre in quel nel decreto scrive che una commissione così fatta “non garantisce trasparenza e indipendenza”.

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di Marco Franchi e Davide Milosa / Il Fatto quotidiano, 13 giugno 2024
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