Ruby 3, il cavillo che salva Berlusconi
Come previsto. Il cavillo ha salvato Silvio Berlusconi e tutti i suoi coimputati nel processo Ruby 3. Assolti “perché il fatto non sussiste”. Senza neppure entrare nel merito delle accuse (corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza), il collegio presieduto da Marco Tremolada ha demolito alle radici il processo in cui Berlusconi era accusato di aver pagato una trentina di testimoni, tra cui 21 ragazze del bunga-bunga, per farle mentire nei processi Ruby 1 (imputato Silvio Berlusconi) e Ruby 2 (imputati Nicole Minetti, Emilio Fede e Lele Mora).
La Procura di Milano ha sbagliato tutto – secondo la sentenza di Tremolada – fin dall’inizio, quando la pubblica accusa era sostenuta da Ilda Boccassini e Antonio Sangermano. Perché le ragazze che nel 2010 avevano partecipato ai festini di Arcore non dovevano essere considerate testimoni, ma indagate in procedimento connesso: perché almeno dalla primavera del 2012 la Procura milanese già aveva elementi per ritenere che fossero pagate da Berlusconi. Non testimoni, dunque, ma “indagati sostanziali”.
Solo i testimoni sono obbligati a dire la verità al giudice: dunque cade l’imputazione di falsa testimonianza. Solo i testimoni assumono la veste di pubblico ufficiale davanti ai giudici che li interrogano e dunque solo i pubblici ufficiali sono imputabili di corruzione, se vengono pagati per mentire: ma se erano “indagati sostanziali” cade – sostiene il giudice – anche l’imputazione di corruzione.
Berlusconi ha pagato milioni alle ragazze e agli altri che sono sfilati davanti ai giudici, questi li hanno incassati e hanno mentito, raccontando che quelle di Arcore erano “cene eleganti”: ma tutto ciò non importa: i reati non sono stati commessi, perché i protagonisti di questo teatro avevano indossato la maschera sbagliata. I pagamenti sono provati e perfino ammessi, la falsità delle testimonianze è sancita da sentenze definitive (Ruby 1 e Ruby 2), ma non importa: la maschera degli attori era sbagliata.
Assolto dunque Silvio Berlusconi. Assolta Karima El Mahroug in arte Ruby Rubacuori. Assolte Ioana Amarghioalei, Liza Barizonte, Iris Berardi, Roberta Bonasia, Francesca Cipriani, Concetta ed Eleonora De Vivo, Aris Espinosa, Barbara Faggioli, Marianna e Manuela Ferrara, Miriam Loddo, Marysthell Garcia Polanco, Barbara Guerra, Giovanna Rigato, Raissa Skorkina, Alessandra Sorcinelli, Elisa Toti, Silvia Trevaini e Ioanna Visan. Assolti “per analoghe ragioni, di carattere esclusivamente giuridico”, anche l’avvocato Luca Giuliante e il fidanzato di Ruby, Luca Risso, perché “accusati di reati che presuppongono la sussistenza di un reato che non sussiste”, cioè la corruzione in atti giudiziari attribuita a Ruby.
Assolti infine Luca Pedrini dal delitto di false informazioni al pm, il giornalista Carlo Rossella per falsa testimonianza, Aris Espinosa per l’ipotesi di favoreggiamento alla prostituzione, “perché dagli atti è emersa con evidenza l’insussistenza del fatto”. Prescritti invece il reato di calunnia contestato a Bonasia e le false testimonianze di cui erano accusati Simonetta Losi (la moglie del pianista di Arcore), la parlamentare Maria Rosaria Rossi e il fisioterapista del Milan Giorgio Puricelli.
L’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal sostituto procuratore Luca Gaglio, aveva invece chiesto condanne per tutti gli imputati, 5 anni per Karima e 6 per Berlusconi. Sostenendo che le ragazze erano diventate pubblici ufficiali già nel momento in cui erano state ammesse dal Tribunale come testimoni nel processo Ruby 1: e cioè il 23 novembre 2011 (ben prima, dunque, della primavera 2012).
Il Tribunale ha dato loro torto. Che si arrivasse a una assoluzione per errore della maschera processuale indossata dagli imputati è cominciato a essere chiaro il 3 novembre 2021, quando Tremolada ha recepito, a sorpresa, un’eccezione avanzata tre anni prima, nel gennaio 2019, dai difensori di Berlusconi. Riguardava proprio l’impossibilità, suggerita dall’avvocato Federico Cecconi, di considerare testimoni le ragazze, da ritenere invece “indagate sostanziali”. Ieri la sentenza ha chiuso il cerchio.
Danno i numeri. Quando si tratta dei processi subiti, Silvio Berlusconi e i suoi esibiscono cifre da capogiro che cambiano ogni volta. Ieri (15 febbraio 2023) erano 136, secondo il capogruppo forzista alla Camera Alessandro Cattaneo. Nel marzo 2021 erano “86 processi, per un totale di 3.762 udienze”, secondo Silvio in persona. Nel tempo i numeri sono cresciuti o diminuiti un po’ a caso. L’intento chiaro resta comunque quello di suggerire agli italiani che c’è stata (e ancora c’è) una persecuzione giudiziaria ordita dalle “toghe rosse” ai danni di chi ha avuto il coraggio di “scendere in campo” per “fermare i comunisti”. In realtà le indagini sono cominciate ben prima, nel 1983, quando Silvio era un imprenditore e fu indagato e intercettato nell’ambito di un’inchiesta su droga e riciclaggio, chiusa senza esiti nel 1991. Poi fu indagato, nel 1988, per aver detto il falso al giudice sulla sua iscrizione alla P2 (e salvato dall’amnistia del 1989). Seguono altri 32 procedimenti, tutti nati da notizie di reato che le Procure italiane sono costrette a non chiudere in un cassetto, altrimenti violerebbero la legge secondo cui l’azione penale è obbligatoria.
Dei risultati non può comunque lamentarsi: una sola condanna definitiva, per frode fiscale, per avere Mediaset nascosto all’erario 368 milioni di dollari, di cui 7,3 sopravvissuti alla prescrizione e sufficienti a farlo condannare a 4 anni, trasformati in qualche visita a un istituto per anziani. Poi ci sono sette prescrizioni, un paio di reati estinti per amnistia, molti proscioglimenti per leggi che ha provveduto a cambiare su misura. Quattro procedimenti ancora in corso (tra cui il Ruby 3 che potrebbe andare in appello) e un’inchiesta pesante ancora nella fase delle indagini preliminari: quella aperta dalla Procura di Firenze per le stragi del 1992-1994.