Milano, veleni sui terreni agricoli affittati alle aziende bio. Il Comune a processo
C’è veleno, nei terreni agricoli di Milano. Proprio in quelli del Parco Sud, dove si coltivano prodotti biologici poi venduti nei migliori negozi bio della città. Metalli pesanti, zinco, piombo, arsenico, rame, forse idrocarburi, forse diossina. Il Comune di Milano – proprietario dei terreni – lo sa, e non solo non fa niente per bonificare, ma cerca di scaricare le conseguenze sulle aziende agricole che hanno preso in affitto quelle aree.
La vicenda si trascina silenziosamente da anni sottotraccia, ma affiorerà alla superficie domani, 8 febbraio, quando in un’aula del palazzo di giustizia milanese si aprirà un processo civile intentato dall’azienda agricola La Vitalba, assistita dall’avvocato Veronica Dini e appoggiata da un comitato di consumatori e dall’Aiab (l’Associazione italiana dei produttori agricoli bio), contro il Comune di Milano e CasciNet, la società che per conto del Comune affitta i terreni ai produttori. La contesa riguarda un’area di circa 30 ettari, ma i terreni agricoli attorno sono di oltre 100 ettari e il Parco agricolo Sud Milano si estende per ben 47 mila ettari.
Per capire questa storia, bisogna innanzitutto sapere che Milano non è soltanto la metropoli dei grattacieli e del cemento, ma è – inaspettatamente – il secondo Comune agricolo d’Italia, subito dopo il vastissimo Comune di Roma. Soprattutto a sud della città, si estendono grandi aree ancora verdi, che hanno resistito all’urbanizzazione e al cemento. Un tempo erano le “marcite”, irrorate, fin dai tempi dei monaci Cistercensi, dall’acqua delle risorgive per ottenere sei tagli di foraggio all’anno.
Nel Parco Sud defluiscono però anche le acque del Lambro e della Vettabbia, dopo essere passate per aree fortemente urbanizzate e piene di insediamenti industriali. Negli anni Settanta e Ottanta, i terreni a sud di Milano furono in gran parte conquistati dall’immobiliarista Salvatore Ligresti, che tentò di farle diventare edificabili. Ci riuscì solo in parte, perché nel 1985 scoppiò lo “scandalo delle aree d’oro”, un anticipo di Tangentopoli che bloccò le edificazioni.
Dopo un lungo contenzioso giudiziario, le aree furono incamerate dal Comune, che le affitta alle aziende agricole. Così a Vaiano Valle, al Parco della Vettabbia, i terreni sono stati affittati alla società CasciNet, che li ha poi girati a società agricole come La Vitalba che coltivano prodotti biologici, anche con progetti finanziati dalla Commissione europea (come OpenAgri) e in collegamento con un’associazione prestigiosa come Slowfood e con catene distributive come NaturaSì.
Ma nel luglio 2019 suona un primo campanello d’allarme: a un convegno scientifico qualche professore ricorda ai partecipanti che i terreni a sud di Milano sono contaminati. Per cause antiche: forse proprio per le marcite che facevano scorrere acque che hanno diffuso nel terreno, a macchia di leopardo, metalli pesanti e altri inquinanti. Del resto, la prima metropoli italiana non ha avuto un depuratore delle acque fino al 2003, quando è entrato finalmente in funzione l’impianto di Nosedo.
Dopo i primi segnali di pericolo, le aziende bio si allarmano. “Nel 2019, preoccupati per le notizie che arrivavano, facciamo realizzare alcune analisi dei terreni”, racconta Angelo Marchesi, che allora era a capo della società agricola Zappada e oggi è presidente dell’associazione bio Aiab. “Hanno rivelato la presenza di veleni. Abbiamo mandato i risultati al Comune, alla Regione, all’azienda sanitaria. Non è successo niente. Noi abbiamo rinunciato al progetto di coltivare e ora sosteniamo la causa civile contro il Comune”.
Sono poi state realizzate analisi anche sui prodotti, che hanno appurato che alcune colture assorbono i veleni, altre no. Qualcuno comincia comunque a protestare con chi affitta i terreni, cioè il Comune (che con il sindaco Giuseppe Sala si dice verde e all’avanguardia della transizione ecologica). Qualcun altro – come Angelo Marchesi – abbandona l’area. Tra chi se ne va, c’è anche chi racconta di essere stato “risarcito” dal Comune con pagamenti per altre attività: nelle carte del processo c’è una fattura della società Food Partner srl al Comune di Milano per non meglio precisate “Attività svolta a vostro favore come da lettera d’incarico”.
Chi è restato ha avuto nel 2020 un cambio del contratto d’affitto, all’articolo 9, che solleva il Comune da ogni responsabilità sui prodotti coltivati. Con qualche reazione pittoresca, come quella della funzionaria comunale Paola Viganò che, ai coltivatori preoccupati che chiedevano rassicurazioni, ha risposto più o meno così: “Se non vi va bene, lasciate i terreni, li chiudiamo con un cancello o ci facciamo un bel bosco”.
Recentemente, la Città metropolitana ha riconosciuto che nei terreni agricoli a sud di Milano c’è un inquinamento storico, di cui è impossibile risalire ai responsabili. Spetta al Comune, dunque, bonificare. E magari anche risarcire le aziende che non vogliono produrre frutta e verdura bio su terreni contaminati. Ma a deciderlo ormai sarà il giudice, nella causa che inizia domani.