Flores: “I Cinquestelle? La frittata non può tornare a essere uovo”
Non è certo pregiudizialmente ostile ai Cinquestelle, Paolo Flores d’Arcais, filosofo e direttore di MicroMega, la rivista che ha animato e nutrito di riflessioni e studi tante proteste, da Mani pulite ai Girotondi, dalla denuncia degli “inciuci” alla critica del renzismo. Sempre alla ricerca di una democrazia più compiuta e di una sinistra al tempo stesso radicale e più libertaria. Ha seguito con interesse i primi passi del Movimento di Beppe Grillo, sostenendo che fosse giusto votarlo già prima delle elezioni del sindaco a Parma. Sempre criticando i Cinquestelle, dichiarando però che fosse utile sostenerli elettoralmente “in mancanza di meglio”. Fino al 18 marzo 2017, quando ha scritto: “Il Movimento 5 stelle non è più votabile”. E oggi dice che “è finito”. A Paolo Flores d’Arcais, Millennium chiede una riflessione e un giudizio sul M5s, sui suoi principi, sul suo sviluppo, sulla sua esperienza all’opposizione e ora al governo.
È passato quasi un anno dal momento in cui il Movimento 5 stelle ha vinto le elezioni, diventando il primo partito italiano, ed è andato al governo insieme alla Lega di Matteo Salvini. Com’è oggi il M5s?
Il Movimento 5 stelle non esiste più, se si intende quello che si è presentato alle elezioni scandendo nei comizi “onestà, onestà!”, allegando un programma elettorale radicale contro la corruzione, le mafie, l’evasione fiscale, le lottizzazioni, il degrado ambientale e ogni manifestazione della “Casta”, quello che aveva candidato alla presidenza della Repubblica Stefano Rodotà, quello che aveva fatto circolare nomi come Davigo, De Matteo, Gratteri, Settis, Montanari, Zingales, Carlin Petrini e tanti altri di questa caratura per tutti i ministeri più importanti, e che per tutto questo sommarsi di ragioni il 4 marzo 2018 ha vinto le elezioni col 32,66 per cento, scelto praticamente da un cittadino su tre tra quanti si sono recati alle urne.
Aver fatto il governo con la Lega di Salvini li ha cambiati?
Il M5s, quello votato da un cittadino su tre, ha cominciato a smettere di esistere quando ha deciso di tradire una dopo l’altra le promesse fatte in campagna elettorale, imitando i partiti della “Casta” con l’abisso tra il dire e il fare. Luigi Di Maio e i suoi avevano spergiurato di non essere interessati alle poltrone, ma solo di voler portare al governo i cittadini, per questo si erano rifiutati per anni ad alleanze, tirando dritto per la strada della maggioranza assoluta o niente (in realtà del 40 per cento, data la legge elettorale), e invece a urne appena chiuse sbandierano urbi et orbi che a loro va bene allearsi con chiunque, purché possano andare al governo. Avevano opzioni assai migliori. Mettere con le spalle al muro il Pd, inchiodandolo a cinque/dieci punti di quelli che chi si dichiara di sinistra non può rifiutare senza fare harakiri, e in caso di renziano rifiuto proporre di nuovo le elezioni, mangiandosi un bel boccone di elettorato Pd. Oppure proporre parallelamente gli stessi contenuti programmatici alla Lega, chiedendo una previa rottura della stessa con Berlusconi, e la fine delle alleanze di destra nelle regioni e nei comuni se l’accordo per un governo nazionale fosse andato in porto (impossibile, senza rinunciare ai rispettivi programmi). Lucrando nuovamente anche su quel versante, in caso di nuove elezioni.
Sta dicendo che pur di andare al governo non hanno mantenuto le promesse o le intenzioni di quando erano all’opposizione?
Esattamente. Coerenza zero. Dovevano continuare a qualificarsi presso l’opinione pubblica come i paladini della lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, alle mafie, alla lottizzazione tv, alle diseguaglianze crescenti, all’impunità dei politici, come gli autentici ecologisti delle energie rinnovabili e di una agricoltura slow food… Invece: perfino il reddito di cittadinanza, che è ancora tutto da “implementare”, è stato reso pastrocchioso mentre poteva essere il pivot di un rilancio globale ed efficiente del welfare. Su tutti gli altri piani l’ha avuta vinta sempre Salvini.
Per ora hanno detto no al Tav.
No, hanno deciso per il momento di non decidere, ma scommetterei che anche il Tav alla fine si realizzerà: ennesima opera faraonica inutile, o forse utile ma per la produzione di tangenti (a proposito: la società preparatoria del Ponte sullo stretto ancora esiste e distrugge soldi ogni giorno…).
Come giudica il salvataggio in Parlamento di Salvini dall’indagine per sequestro di persona dei migranti bloccati sulla nave Diciotti?
Salvini salvato dal processo è solo la ciliegina sulla torta di un insieme di inadempienze e tradimenti sulla giustizia. Potevano inserire l’ostruzione di giustizia, fattispecie assai più ampia che la testimonianza falsa e reticente (praticamente depenalizzata nell’epoca berlusconiana e dell’inciucio), con pene deterrenti di tipo americano. Potevano abrogare la prescrizione dopo il rinvio a giudizio, lo hanno fatto solo dopo il primo grado, ma l’80 per cento dei delitti di corruzione vanno in prescrizione proprio in quell’intervallo! E comunque la misura non entrerà mai in vigore, perché l’attuazione è prevista nel 2020, quanto al governo ci sarà solo Salvini, con quel che resta delle altre destre (nei sondaggi attuali questo insieme è già oltre il 45 per cento dei voti, dunque avrà in Parlamento una maggioranza assoluta con cui cambiare anche la Costituzione: un orizzonte Orbán, insomma).
Il Movimento 5 stelle è però stato in qualche modo il continuatore dei movimenti dei primi anni Duemila per la legalità e contro Berlusconi, da Girotondi al Popolo Viola.
Neanche per idea. Semmai nasce dall’incapacità, o dalla non-volontà, dei movimenti di quella stagione di offrire una prospettiva elettorale diversa e concorrenziale con quella del Pd. Nel 2002 si svolgono le due manifestazioni di massa numericamente più grandi dell’intera storia italiana: il 23 marzo la Cgil di Cofferati al Circo Massimo e il 14 settembre i Girotondi a piazza san Giovanni. Ma i Girotondi non si danno alcuna struttura organizzativa, si illudono di poter far cambiare il Pd; e Cofferati, finito il suo mandato di segretario della Cgil e tornato al lavoro alla Pirelli, accetta la richiesta di D’Alema di fare il sindaco di Bologna, anziché candidarsi contro di lui (come aveva promesso ai Girotondi!).
Comunque il M5s è riuscito laddove i movimenti precedenti non erano riusciti. Ha saputo dare una risposta alla crisi epocale della sinistra e, in Italia, al tradimento della sinistra che inciuciava con Berlusconi.
Beppe Grillo comincia a presentare il suo movimento del “Vaffa” alle elezioni, contro tutti. E si merita con ciò il monopolio elettorale anti-establishment. Ha offerto uno sfogo temporaneo, non una “risposta alla crisi epocale della sinistra”.
Ha dato una casa alle speranze dei delusi dalla politica, a sinistra e anche a destra.
No. Non ci sono i “delusi della politica”, perché non c’è LA politica, ce ne sono molte possibili e tra loro incompatibili. Grillo ha offerto la possibilità di un voto anti-establishment alla sacrosanta rabbia anche di chi aveva partecipato ai movimenti della società civile, ma lo ha fatto con grandi ambiguità, che sul momento hanno permesso al M5s di lucrare crescenti consensi trasversali, ma che a breve termine (perché parliamo di pochi anni) hanno prodotto la crisi attuale e la subordinazione a Salvini.
Eppure il M5s ha portato alcune novità forti dentro la politica italiana: la prima, quella di orientarsi non sull’asse destra/sinistra, ma legalità/illegalità (come era successo ai tempi di Mani pulite, che infatti ha avuto per qualche tempo il consenso della maggioranza degli italiani).
Ma come si è visto, è stato uno slogan, non una politica organica. Non è stato un criterio cruciale e discriminante né per la selezione dei candidati, né per l’atteggiamento con gli alleati.
Ha comunque posto il problema della crisi (mondiale) della democrazia rappresentativa, cercando di sperimentare forme nuove di democrazia diretta (la rete).
Ha posto il problema, ma non lo ha risolto, anzi è riuscito ad aggravarlo. La rete costituisce infatti uno strumento formidabile di mobilitazione democratica, nel momento delle lotte, non di esercizio della democrazia. La democrazia è deliberazione che deve avvenire attraverso il controllo delle informazioni e il confronto dialogico argomentativo, razionale. L’opposto del like/dislike, puro spurgo dei fondali psichici. Perciò la democrazia, in quanto argomentativa, non è mai diretta. Implica tempo, ascolto delle argomentazioni altrui, uso della logica, non l’immediatezza, che spesso è della superstizione. In un referendum non abbiamo tutti lo stesso potere, lo strapotere è in mano a chi formula la domanda.
Ammetterà però che ha capito prima di tutti l’opposizione élite/popolo che stava crescendo nel Paese (e nel mondo) e ha tentato di dare rappresentazione alla maggioranza anti-élite.
Ma quella élite/popolo è l’opposizione più falsa e fuorviante che esista, tipica dei pre-fascismi. Il conflitto vero è tra establishment e politica egualitaria e libertaria (e illuminista, aggiungerei). Le élite sono fra loro le più diverse, anche antagoniste, e alcune non solo sono dalla parte del popolo, ma addirittura necessarie per il popolo. Da Mani pulite in avanti, per alcuni anni (oggi ormai la normalizzazione procede con gli stivali delle sette leghe), le élite della magistratura sono state l’autentico “potere dei senza potere”. Inoltre, il popolo non esiste. È costituito da un coacervo di individui, gruppi, interessi, emozioni, che si intrecciano, sovrappongono, lacerano, in modo instabile, magmatico, imprevedibile. Il popolo è una costruzione politica, oggi addirittura elettorale. Si costruisce attraverso l’individuazione dei propri valori e il riconoscimento dei propri nemici. Era popolo quello che andava in delirio per Hitler. Era popolo quello in festa per la Liberazione, da cui la nostra Costituzione. Due popoli incompatibili.
Non può però negare che, a differenza che in tanti altri Paesi, dove i movimenti anti-establishment sono di destra o decisamente fascisti, in Italia i Cinquestelle hanno recepito molti temi di sinistra (eguaglianza, lavoro, ambiente) e sono dichiaratamente antifascisti.
Grillo per anni ha ripetuto che senza il M5s in Italia ci sarebbe stata Alba dorata (il movimento dei fascisti greci). Per anni ha avuto ragione. Ora però il M5s è al governo con Casa Pound! Esattamente con Alba dorata! E sui temi citati, l’eguaglianza, il lavoro, l’ambiente, sempre più si piegano a Salvini, che rappresenta invece perfettamente gli interessi dell’establishment, dei privilegiati, della Confindustria, della finanza, che hanno puntato prima su Berlusconi, poi su Renzi, ora sulla Lega.
Quello della democrazia interna è un problema che si è più volte riproposto dentro il Movimento 5 stelle. Ma la mancanza di democrazia dentro un movimento giovane può essere almeno in parte spiegato dal tentativo di difendersi dalle scalate ostili.
Un partito che dice “uno vale uno” non può essere strutturato in modo che due valgono più di tutti messi assieme (Grillo e Casaleggio), che il potere di uno dei due si tramandi per via dinastica, che quello del primo venga devoluto a un “Capo politico”. Dalle scalate ostili ci si difende con la selezione dei militanti, e dei candidati, attraverso la partecipazione alle lotte reali, all’impegno disinteressato nella società civile. Espellere i dissidenti è invece solo stalinismo.
Si ripete spesso che hanno degli eletti in molti casi inadeguati. La selezione della loro classe dirigente è molto imperfetta, ma è almeno un modo di cercare alternative alla selezione fatta dai partiti, che selezionano spesso il peggio.
Nelle intenzioni forse. Ma il risultato è “péso el tacòn del buso” (peggio la toppa del buco). Una selezione tipo cast di reality, puoi diventare candidato (e sindaco) di una città anche grande con qualche decina di amici facebook. Dovresti esserlo per la tua credibilità dimostrata con i fatti, cioè le lotte, l’impegno culturale e nell’azione, non perché ammicchi in modo più accattivante per tre minuti in un video. I risultati si vedono. Tragici, mediamente.
Sono criticati come inesperti o incapaci, quando sono arrivati al governo o alla guida delle amministrazioni. Ma sono poi davvero peggio degli “esperti” che li hanno preceduti? E sul giudizio che si è affermato non ha pesato anche l’aver contro tutti i grandi giornali?
Ma perché bisogna sempre scegliere tra la padella e la brace? Cambiare vuol dire avere il meglio, non uno tra due “peggio”. E ai giornali, se le loro critiche ti sembrano ingiuste, si risponde con i fatti, con le realizzazioni. Che invece latitano.
Il Movimento oggi sta cercando di imparare dalle esperienze fatte e di darsi una nuova struttura. Potrà cambiare il suo giudizio oggi così negativo? Se poi la situazione politica precipitasse e il governo Cinquestelle-Lega finisse, pensa che un eventuale ritorno all’opposizione lo farebbe tornare alle origini?
Difficile che una frittata torni a essere un uovo.