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Perry King, Milano e il design

Perry King, Milano e il design

Perry King, designer di grande raffinatezza, se n’è andato silenziosamente, in punta di piedi, nei giorni delle feste. Milano dovrebbe ricordarlo con gratitudine, perché Perry è una delle prove che Milano è davvero una delle capitali europee del design e della cultura visuale. Gli oggetti da lui disegnati, dalla rossa Valentine (con Ettore Sottsass) alla lampada Jill (con Santiago Miranda) sono a tutti gli effetti “italian design”. E poco importa che lui sia nato e abbia studiato nel Regno Unito. Nel 1964 arriva in Italia e comincia a lavorare per la Olivetti di Ivrea, dove nascevano le macchine per scrivere più belle del mondo, ma anche le idee più nuove per l’urbanistica, la cultura, perfino la politica.

“Ho voluto venire in Italia”, raccontava, “affascinato da immagini come quelle di Elea, il grande computer prodotto da Olivetti e presentato nel 1959. Sottsass aveva disegnato una specie di armadio da moltiplicare all’infinito, con grandi lastre di alluminio lucido che avevano il compito di nascondere ciò che Sottsass considerava allora la presenza inquietante della macchina elettronica”. Che tempi: i computer, che ora sono sempre più piccoli e si fanno in California o in Oriente, allora occupavano stanze intere e si progettavano a Ivrea.

Con Sottsass, Perry King collabora a realizzare la Valentine, diventata la macchina per scrivere più nota al mondo. Poi diventa design coordinator del Servizio di corporate image di Olivetti, disegna caratteri a punti, libri, poster.

Inizia a lavorare insieme a Santiago Miranda con cui, nel 1976, fonda lo studio King-Miranda Associati. Che coppia: un britannico e uno spagnolo: ma a tutti gli effetti milanesi, protagonisti del design italiano, negli anni in cui il design italiano si faceva a Milano ed era, semplicemente, il design. Con Enzo Mari e Achille Castiglioni, Marco Zanuso e Richard Sapper, Gae Aulenti e Cini Boeri, Mario Bellini e Alessandro Mendini. E tanti altri.

Con Santiago Miranda, Perry King ha firmato lampade di successo (prodotte da Arteluce Flos) come la Jill e la Wall, la Mantis e la Donald, la El e la Triana. E poi i sistemi d’illuminazione per spazi pubblici Halley ed Expanded Line, la luce da soffitto Aurora, le sedute per ufficio Air Mail (prodotte da Marcatrè). I due avevano come firma una doppia mano un po’ escheriana. Proprio loro sono stati chiamati in Giappone per realizzare un locale dal nome e dal sapore italiano, “Sogno A”, a Tokyo, dove hanno usato dura lavagna nera e marmo di Carrara bianco.

Colto, ironico e sornione, Perry King viveva Milano come la sua città, benché si sentisse cittadino del mondo e viaggiasse molto per lavoro, tenendo conferenze e lezioni al Royal College of Art di Londra, al Politecnico di Milano, alla University of Central England, alla Glasgow School of Art, alla University of Arts di Londra.

I finanzieri e i manager italiani non sono poi stati all’altezza della cultura, dell’immaginazione, dell’innovazione che avevano nei loro uffici e nelle loro fabbriche. La Olivetti di Adriano è naufragata, molte altre aziende sono state chiuse o vendute a imprenditori stranieri. Gli imprenditori italiani si sono spesso dimostrati più che altro “prenditori”, e dissipatori di ricchezza e sapere.

La Milano che è possibile vedere nella bella mostra esposta in questi mesi a Palazzo Morando è molto cambiata. Hanno vinto il marketing, il food, lo storytelling. Le solide basi gettate negli anni Cinquanta e Sessanta da chi produceva industria e sapere si sono assottigliate. Se ancora qualcosa resiste, è merito di uomini come Perry King, milanese per scelta e d’adozione che la sua città non dovrà dimenticare.

Il Fatto quotidiano, 9 gennaio 2020 (versione modificata)
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