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Affari Eni in Congo, corruzione a casa Descalzi

Affari Eni in Congo, corruzione a casa Descalzi
La signora Descalzi, secondo l’ipotesi d’accusa, attraverso società schermo in Olanda, Lussemburgo, Cipro e Nuova Zelanda, controlla cinque società chiamate Petro Services – in Congo, Gabon, Ghana e Mozambico – che tra il 2007 e il 2018 hanno fornito a Eni servizi (affitto di navi e sostegno logistico) per circa 300 milioni di dollari.

Il controllo era diretto dal 2009 al 2014. Poi l’8 aprile 2014, sei giorni prima che il governo Renzi indicasse Descalzi come amministratore delegato di Eni, Maria Magdalena Ingoba vende l’intera società lussemburghese Cardon Investments sa, che controlla le Petro Services, ad Alexander Haly, uomo d’affari britannico con base a Montecarlo, ritenuto dagli investigatori una sorta di socio-prestanome della coppia Descalzi-Ingoba.

Nell’inchiesta sulle concessioni in Congo sono indagati Roberto Casula, capo delle attività di esplorazione del gruppo petrolifero italiano, la manager Eni Maria Paduano, l’ex dirigente Agip Andrea Pulcini, l’allora dirigente nigeriano di Agip Ernest Olufemi Akinmade, l’uomo d’affari Alexander Haly e la stessa Eni, in forza della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società.

Due giorni fa la Guardia di finanza ha perquisito l’abitazione di Claudio Descalzi e della moglie, su richiesta del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dei pm Sergio Spadaro e Paolo Storari, le cui attività d’indagine sono coordinate con i magistrati francesi che stanno indagando su affari in Francia dell’entourage del presidente del Congo, Denis Sassou Nguesso, e dunque anche sugli incroci societari tra la signora Ingoba e la figlia del presidente congolese.

Da Oltralpe era arrivata nei mesi scorsi una battuta d’arresto alle indagini milanesi sugli affari Eni in Congo: la Corte d’appello del Principato di Monaco il 6 giugno aveva bloccato la rogatoria della Procura di Milano che chiedeva la trasmissione dei documenti sequestrati durante le perquisizioni realizzate nel febbraio 2018 negli uffici monegaschi di Haly. Documenti e materiale bancario da cui la Procura milanese spera di ricostruire eventuali pagamenti anche a uomini Eni.

La Corte di Monaco motivava lo stop con errori della gendarmeria del Principato, che non aveva fatto una selezione del materiale da inviare. La Procura di Milano ha reagito rinnovando la sua richiesta e spiegando che aveva invece subito inviato alle autorità del Principato le parole-chiave con cui selezionare i documenti da mandare a Milano. Ora è in attesa della risposta, sapendo che i file e i documenti sequestrati ad Haly potrebbero far decollare l’indagine sulla presunta corruzione internazionale in Congo e chiarire i rapporti tra Haly e i coniugi Descalzi.

Eni ribatte di aver ottenuto il rinnovo delle concessioni in Congo con procedure legittime e trasparenti. Quanto al contestato conflitto d’interessi sugli affari in Africa della moglie dell’amministratore delegato, la compagnia petrolifera ricorda di aver depositato già nel maggio scorso in Procura il report di due società indipendenti, Dla Piper e Protiviti, che certifica non solo la regolarità di tutte le operazioni realizzate da Eni in Nigeria e in Congo, ma anche il “sostanziale rispetto delle procedure di approvvigionamento” da parte delle Petro Services. Segnala contatti di Haly con la sorella della moglie di Descalzi, ma sostiene che i servizi sono stati assegnati con gara competitiva, rispettando le procedure e a prezzi corretti.

È intervenuto anche Descalzi: “Le transazioni tra Eni Congo e il gruppo Petro Services”, ha dichiarato, “non sono mai state oggetto di mie valutazioni o decisioni in quanto totalmente estranee al mio ruolo. Se mi fossi trovato in una qualunque situazione di conflitto di interesse, o ne avessi avuto conoscenza, non avrei esitato a dichiararlo, come è previsto dalle procedure aziendali di Eni e dalla legge. Ho l’assoluta certezza di avere sempre operato correttamente, in modo lecito, nell’interesse dell’azienda e degli azionisti. Riuscirò a dimostrarlo oltre ogni ragionevole dubbio”.

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di Gianni Barbacetto e Davide Milosa, Il Fatto quotidiano, 28 settembre 2019
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