GIUSTIZIA

Quei procuratori che ringraziano Palamara per le sue manovre

Quei procuratori che ringraziano Palamara per le sue manovre
Ora a Luca Palamara nessuno telefona. Nessuno lo cerca. Nessuno gli chiede un aiuto, un favore. Eppure sono in tanti ad avere motivi di gratitudine nei suoi confronti. Per anni i suoi telefoni sono stati bollenti, gli incontri con lui ricercati e preziosi. Le alchimie correntizie da lui distillate hanno guidato, indirizzato, sostenuto nomine ai vertici degli uffici giudiziari delicate e a volte controverse. Il Consiglio superiore della magistratura era il suo campo di gioco, con alleati, soci chiacchieroni, colleghi di corrente obbedienti, magistrati delle altre correnti disposti ad accordarsi con lui secondo le regole dell’antico mercato delle vacche e degli scambi, uno a te, uno a me. Ora i giochi, per lui, kingmaker di Unicost, la corrente di centro della magistratura che ieri lo ha abbandonato al suo destino, sono finiti. La Procura di Perugia lo indaga per corruzione, con l’accusa di aver venduto la sua funzione in cambio di denaro, viaggi, regali.

Le ultime partite che stava giocando erano attorno al centro vitale degli uffici giudiziari italiani, la Procura della Repubblica di Roma non più porto delle nebbie, in una partita a scacchi che coinvolgeva anche le Procure di Firenze, di Perugia, di Torino. La sua mano è rimasta sospesa mentre cercava di disporre i suoi pezzi sulla scacchiera. Ma altre partite, nel recente passato, le ha vinte, altre le ha combattute. La più significativa – anche se persa – è stata quella per determinare il procuratore di Gela. Il candidato di Palamara era Giancarlo Longo, pm a Siracusa. Alle sue spalle si muoveva l’amico imprenditore Fabrizio Centofanti, pronto a compiacerlo con viaggi e regali che neanche Formigoni. Ma a spingere erano l’avvocato esterno dell’Eni Piero Amara e il suo collega Giuseppe Calafiore, che avevano bisogno di un amico a Gela che sostenesse le buone ragioni dell’Eni nei processi in cui la compagnia petrolifera era coinvolta.

Se lo meritava un premio, Longo, dopo che da pm a Siracusa aveva fiancheggiato Amara e aveva dato credito a un incredibile complotto ordito per depotenziare e depistare l’inchiesta della Procura di Milano a caccia delle tangenti petrolifere che Eni avrebbe pagato in Nigeria. Ma Longo era impresentabile, il complotto ingarbugliato e le Procure di Roma e Messina, e poi di Milano, hanno dipanato i fili dell’intrigo. Amara è stato arrestato, i giochi svelati. L’avvocato esterno dell’Eni ha patteggiato – per ora – 3 anni per corruzione in atti giudiziari per aver comprato sentenze al Consiglio di Stato. E a Gela è arrivato come procuratore Fernando Asaro.

Lo scacco matto ha funzionato invece a Taranto, dove procuratore è stato nominato Carlo Maria Capristo. Nella commissione del Csm che propone le nomine lo hanno votato in quattro (Forciniti, Unicost; Galoppi, Magistratura indipendente; Balducci, laica di sinistra; Casellati, Forza Italia), contro due (Aschettino e Fracassi, Area) che gli hanno preferito Francesco Mandoi. Al plenum Capristo ha ottenuto 15 voti, espressi da tutte le correnti tranne Area, la corrente di sinistra della magistratura associata, che ha continuato a sostenere, con sette voti, Mandoi. Astenuti Fanfani, Pd, Zaccaria, Cinquestelle, e Ciccolo, pg della Cassazione. Gioco riuscito anche a Matera, con quattro voti in commissione per Pietro Argentino (Cananzi e Forciniti, Unicost, Forteleoni, Mi, Zanettin, Forza Italia), un voto per Lorenzo Lerario (Fracassi, Area) e uno per Elisabetta Pugliese (Balducci). Conferma al plenum con undici voti per Argentino (Unicost, Mi e laici di destra), sette per Lerario (Area), tre per Pugliese (i laici Balducci e Balduzzi e Morgigni, A&i) e quattro astenuti (Fanfani che presiedeva in sostituzione del vicepresidente Giovanni Legnini, oltre a Canzio, Ciccolo e Zaccaria).

A Trani ce l’ha fatta, infine, Antonino Di Maio, dopo un percorso lungo e accidentato. In una sede che i cultori di vicende Eni conoscono bene, perché è alla Procura di Trani che si rivolgono, prima di riprovare con Longo a Siracusa, Amara e gli inventori del complotto per depistare le indagini per corruzione internazionale in Africa. Il Csm in carica allora assegna cinque voti a Di Maio (Balducci, Forteleoni, Cananzi, Forciniti e Zanettin), un solo voto per Renato Nitti (Fracassi), che pure aveva titoli, prestigio e considerazione per essere nominato. In plenum, vince Di Maio con 14 voti, contro i sette di Nitti (solo Area). Assente Galoppi, astenuti Canzio e Morgigni. Nitti, sconfitto, ricorre al Tar e al Consiglio di Stato, che gli danno ragione. Ma la decisione passa al nuovo Csm, quello attualmente in carica, che conferma Di Maio. Con l’astensione, al plenum, di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita (Autonomia e indipendenza). E i voti contrari dei quattro consiglieri di Area e del laico indicato dai Cinquestelle Alberto Maria Benedetti, che sostengono Nitti, il quale ora, dopo la bufera, prepara un nuovo ricorso.

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di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali, Il Fatto quotidiano, 2 giugno 2019
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