L’Appaltopoli del Nordest. Truccate in mezza Italia gare per 1 miliardo
La nuova Mani pulite del Nordest è cominciata con una piccola inchiesta sui lavori per risistemare corso Italia, nel centro di Gorizia. Appalto di 3 milioni di euro, vince una ditta con sede a Bari. Ma i lavori li fanno due imprese venete, dopo aver pagato una percentuale alla vincitrice. Sono due imprese molto attive: da qui parte un’indagine che, dopo un anno e mezzo, si è estesa a tutto il sistema degli appalti pubblici in Friuli-Venezia Giulia e nel Veneto: strade, autostrade, ponti, viadotti, gallerie, aeroporti, opere fluviali, acquedotti, gasdotti, porti. E ha pian piano sconfinato in mezza Italia, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Sicilia, mettendo sotto indagine 150 appalti pubblici realizzati tra il 2015 e il 2018, per un valore di oltre 1 miliardo di euro.
Ha messo sotto osservazione l’attività di decine di stazioni appaltanti, enti pubblici delle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto e poi l’Anas, Veneto Strade (controllata dalla Regione Veneto), la Pedemontana veneta, società autostradali come Autovie Venete (controllata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia), Autostrade per l’Italia (del gruppo Benetton), Concessioni Autostradali Venete (che gestisce il Passante di Mestre), l’Autorità portuale di Trieste, le società che gestiscono gli aeroporti di Trieste, Venezia, Treviso, Verona, Bologna. Fino ad arrivare alle opere di ricostruzione dopo il terremoto del 2016 in Umbria, a Norcia, a San Benedetto e nelle Tre Valli umbre.
Ieri la piccola Procura di Gorizia, dopo aver lavorato in silenzio per 18 mesi, ha mandato 600 militari della Guardia di finanza, 400 del Friuli-Venezia Giulia e 200 di altre regioni, a fare oltre 300 perquisizioni, per quella che è stata chiamata “Operazione Grande Tagliamento”. La pm Valentina Bossi e il suo procuratore Massimo Lia hanno ordinato acquisizioni di documenti in decine di enti pubblici, tra cui molti Comuni in mezza Italia e le Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia. E perquisizioni a 220 soggetti privati e a 120 società, tra cui grandi imprese di costruzioni come la Pizzarotti di Parma e la Rizzani de Eccher di Udine, i cui rappresentanti legali, Paolo Pizzarotti e Marco de Eccher, sono indagati per turbativa d’asta, a proposito del lotto di San Donà di Piave dell’autostrada Venezia-Trieste.
Ora, dopo la grande pesca di documenti, comincia la seconda fase con lo studio delle carte per vedere se le ipotesi d’accusa potranno accedere a un livello più alto. Le accuse sono già pesanti: associazione a delinquere, turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, false attestazioni, reati ambientali, concussione. La seconda fase punta ad accertare se vi siano state anche corruzioni e siano stati coinvolti direttamente anche uomini degli enti pubblici e della politica che, per ora, è già certo che sono stati almeno poco attenti. Perché il quadro che emerge dalle indagini dei finanzieri guidati dal comandante regionale del Friuli-Venezia Giulia, il generale Giuseppe Bottillo, e dal comandante provinciale di Gorizia, il colonnello Giuseppe D’Angelo, è un’Appaltopoli scientificamente preordinata in cui le aziende private si accordano per pilotare l’esito delle gare e spartirsi i lavori pubblici. E un sistema oliato in cui chi deve controllare è perlomeno distratto.
All’inizio furono le intercettazioni telefoniche. In cui imprenditori, manager e funzionari pubblici senza scrupoli si esprimono con le cadenze dei dialetti del nordest, ma con toni e sostanza non dissimili da quelli dei peggiori boss del sud, rivendicando il controllo del territorio e dei loro business. Le opere pubbliche messe sotto osservazione sono il sistema nervoso del nordest: l’autostrada A4, tratto Venezia-Trieste e raccordo Villesse-Gorizia; le autostrade del gruppo Benetton, tratti Venezia-Belluno e Udine-Tarvisio; il passante di Mestre; le strade regionali di Friuli-Venezia Giulia e Veneto; la Pedemontana veneta; ponti, gallerie, viadotti e sottopassi; i lavori compiuti negli aeroporti di Trieste-Ronchi dei Legionari, nel Canova di Treviso, nel Marco Polo di Venezia, nel Catullo di Verona e nel Guglielmo Marconi di Bologna. Aprendo domande inquietanti: se la pista di un aeroporto viene realizzata, per risparmiare, con ghiaia intera, non lavorata, quanto viene messa in pericolo la sicurezza dei passeggeri?
Le perquisizioni di ieri sono “finalizzate ad acquisire prove documentali su accordi tra imprese, diretti alla preordinata spartizione delle opere, nell’ambito di più complessive alleanze tra società”. Gli appalti, secondo gli investigatori, vengono suddivisi in più lotti per permettere una più agevole spartizione del malloppo tra le aziende che si accordano tra loro, con buona pace del libero mercato e della migliore offerta all’ente pubblico che fa da stazione appaltante. Viene sistematicamente violata anche la regola che impone a chi vince una gara di non subappaltare più del 30 per cento dei lavori. Le associazioni temporanee d’impresa che si costituiscono per vincere una gara sono spesso fittizie.
Per ottenere punteggi più alti, vengono presentati falsi documenti sulle dotazioni logistiche e sui macchinari a disposizione delle aziende. Di tutto ciò, le Regioni, le stazioni appaltanti, i funzionari pubblici addetti ai controlli, i responsabili unici del procedimento (Rup) – come Enrico Razzini – non si accorgono: con “comportamenti omissivi di chi avrebbe dovuto realizzare il controllo delle opere” e funzionari pubblici “consapevoli delle irregolarità”. Secondo i pm, in decine di opere pubbliche sono stati consumati reati di turbativa d’asta, preordinando gli esiti delle gare, e di frode in pubbliche forniture, realizzando lavori non conformi ai capitolati o usando materiali non idonei, come ghiaie non lavorate o asfalti di risulta.
Con una coda che ha a che fare con l’ambiente: alcune imprese hanno estratto dal greto dei fiumi (il Tagliamento, l’Isonzo…) quantità di ghiaia di molto superiori a quelle per cui avevano la concessione, mettendo a rischio l’equilibrio idrogeologico dei corsi d’acqua; e hanno molto probabilmente impiegato come base per strade e autostrade rifiuti che avrebbero invece dovuto smaltire come rifiuti speciali. Ora l’analisi dei documenti acquisiti e sequestrati ieri apre la seconda fase dell’inchiesta. (Il Fatto quotidiano, 22 novembre 2018)
Gli appalti del “re del bitume”, che vince anche quando perde
Tra i protagonisti di primo piano della Appaltopoli del Nordest, secondo la Procura di Gorizia, c’è Roberto Grigolin, il re del bitume. La sua azienda, fondata nel trevigiano, sulle rive del Piave, dal padre Giobatta nel 1963, oggi è un gruppo con 300 milioni di fatturato, 700 dipendenti, 850 automezzi, 88 unità produttive, filiali in Germania e in Svizzera. Calce e ghiaia, poi calcestruzzo e bitume. E tanta grinta per non mollare gare, lotti e appalti. Mai. Quando vince, ma anche quando perde.
Grigolin partecipa, per dire, anche alla mitica gara per la terza corsia della Venezia-Trieste, lotto secondo, San Donà di Piave, svincolo di Alvisopoli e canale di gronda Fosson-Loncon. È uno degli appalti al centro dell’inchiesta “Grande Tagliamento” della Procura di Gorizia, che sta indagando su gare truccate in mezza Italia. Il re del bitume concorre con la società Brussi Costruzioni, ma perde. A vincere sono la Pizzarotti e la De Eccher, due colossi delle costruzioni consorziati con Saicam. Chi è sconfitto in una gara d’appalto – dice la legge – uscito dalla porta, non può rientrare dalla finestra tramite i subappalti.
Invece nel dicembre 2017 il re del bitume partecipa ai lavori (valore oltre 106 milioni di euro) come subappaltatore, con altre società della galassia Grigolin, la Ghiaie Ponte Rosso e la Superbeton spa. Ora ha ricevuto uno dei 54 avvisi di garanzia inviati dalla pm goriziana Valentina Bossi e dal procuratore Massimo Lia, che mercoledì scorso hanno fatto eseguire dalla Guardia di finanza oltre 300 perquisizioni in una dozzina di regioni italiane a proposito di 150 appalti pubblici del valore complessivo di oltre 1 miliardo di euro. Sulle regole, prevalgono “le collusioni e gli accordi preventivi”, scrivono i magistrati: la gara doveva essere vinta da Pizzarotti e De Eccher, con lo zampino del Rappresentante unico del procedimento (Rup) Enrico Razzini, espressione della stazione appaltante, l’autostrada Venezia-Trieste e Villesse-Gorizia controllata dalla Regione Friuli Venezia Giulia.
Ora Paolo Pizzarotti e Marco De Eccher hanno ricevuto un avviso di garanzia per turbativa d’asta, come Roberto Grigolin. La gara è stata una grande recita: i tre, secondo i magistrati goriziani, “accordandosi preventivamente tra loro, nell’ambito di una più complessiva intesa”, “turbavano la gara”. “In particolare, il Rup e la commissione giudicatrice facevano in modo che il lotto sopraindicato venisse aggiudicato” a Pizzarotti-De Eccher-Saicam. I quali poi “si accordavano con appaltatori e subappaltatori”, anche sconfitti nella gara, “con l’intenzione di cedere (nonostante il divieto di legge) completamente e irregolarmente i lavori”. Ottenendo così l’appalto e poi “scambiandosi favori reciproci” anche con gli sconfitti. Era tutto un grande tavolo delle spartizioni, alla faccia della “regola indefettibile della libera concorrenza”.
Di fronte all’accordo preventivo, riedizione veneto-friulana di quello che in Sicilia chiamavano “tavolinu”, sembra che a poco o nulla servano le regole e i controlli dell’Autorità anticorruzione. “Per contrastare questa metastasi delle gare combinate che abbiamo scoperto in mezza Italia, quello che serve davvero è una rigorosa repressione penale”, commenta il generale della Guardia di finanza Giuseppe Bottillo, comandante regionale del Friuli Venezia Giulia. “Ma ci vorrebbero leggi più efficaci. La turbativa d’asta, per esempio, è un reato essenziale per scoprire se vi siano state anche corruzioni. Ma è punito troppo debolmente, non offre la possibilità di eseguire intercettazioni, si prescrive rapidamente e non permette di contestare anche alle aziende la responsabilità per reati commessi da amministratori o dipendenti, né di escludere dalle gare future chi sia stato condannato in passato per aver vinto appalti in modo illegale”. (Il Fatto quotidiano, 23 novembre 2018)