Gli alieni e le luci di Expo visti dai margini. Un film
Milano ai margini. In centro, ben illuminato sotto i riflettori, c’è Starbucks, il McDonald’s del caffé americano che viene a insegnarci il mestiere in Italia, meritandosi subito le code dei fan entusiasti. Ci sono le code anche del nuovo Apple store di piazza del Liberty, cristallo, acqua e tecnologia. Ai bordi è dedicato invece un film che ora (il 21 settembre) arriva al Maxxi di Roma, a raccontare nella capitale il lato nascosto della capitale morale. “Magnifiche sorti”, di Nicolò Bassetti ed Emilio Mazza, è stato girato in anni di ricerche e di montaggio girando con grande pazienza attorno all’evento che ha santificato Milano e rilanciato il suo ruolo nel mondo e nella galassia: Expo 2015. Ma le luci dell’Albero della Vita, i fasti dell’esposizione universale, i fuochi d’artificio del suo trionfo finale si vedono soltanto da lontano, da una terrazza disadorna nell’estrema periferia milanese, dalle vie attorno, buie e deserte, battute dalle prostitute, dalle celle del contiguo ma ben mimetizzato carcere di Bollate.
C’è Katia, che trascorre le sue giornate nella sua cella affacciata sull’Expo, aspettando con le sue compagne di uscire di prigione. C’è Marco, che racconta la memoria delle vie d’acqua che scorrono attorno al sito dell’esposizione. C’è Marzia, l’assistente sociale che compie i suoi giri notturni fra le prostitute di periferia che lavorano a ridosso delle alte reti metalliche che racchiudono Expo come una fortezza. C’è Giorgio, che spera di far diventare mostra d’arte l’archivio di archeologia industriale del laboratorio fotografico di famiglia. C’è Mustafà, che apre ogni mattina all’alba il suo chiosco al capolinea del tram. L’esposizione universale resta un rumore di fondo, su cui si stagliano vite ai margini, avventure di invisibili, sogni ai bordi, incubi del presente, nostalgie di un passato perduto.
“Magnifiche sorti” è la prima regia di Nicolò Bassetti, già coautore (con Gianfranco Rosi) dello straordinario “Sacro Gra”, premiato con il Leone d’oro alla settantesima mostra del cinema di Venezia. Quel documentario sciorinava un’incredibile collezione di personaggi che si muovevano ai margini di Roma, sul Grande Raccordo Anulare. Quello su Milano racconta come “l’astronave Expo atterra nella periferia nord-ovest di Milano”. Gli alieni arrivano e prendono possesso di un territorio che nessuno sa più dire se sia Milano, Bollate, Rho, Baranzate. Confini malsegnati che sfuggono – provateci – anche a Google maps. Un carcere, due autostrade, un camposanto. Fabbriche e capannoni che un tempo erano modernità e prosperità. Campi rom su cui hanno piantato la bandiera del degrado.
Nei lunghi mesi del cantiere e poi dell’esposizione, la scena si ribalta: gli alieni diventano padroni, gli autoctoni diventano alieni. C’erano prima, sono restati dopo. Ma sempre più marginali, indigeni espropriati e dimenticati ai bordi del grande, luccicante lunapark. Le immagini sono nitide, riprese fisse, volti e storie vere che nessun casting avrebbe saputo scovare, nessun autore inventare.
Milano non è questa, diranno i cantori delle “magnifiche sorti e progressive”, immemori del passato, felici di un futuro che danno per presente. Milano non è questa, è la frenesia del food and drink, del caffè Starbucks, delle palmette di piazza Duomo, della scalinata che scende nella pancia dei bit e dei Mac. Milano è anche questa, volti e storie che non hanno parole, che non si fanno storytelling. Dunque non esistono.