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Fs, Trenord e il “cattivo carattere” di Rota che ha salvato i tram di Milano

Fs, Trenord e il “cattivo carattere” di Rota che ha salvato i tram di Milano

Mesto tramonto a Milano del piano di conquista dei trasporti locali progettato da Renato Mazzoncini, il gran capo (turbo-renziano) di Ferrovie dello Stato. Non solo non si farà la fusione tra Fs e Atm, l’azienda dei trasporti pubblici milanesi, ma è ormai cosa fatta anche il divorzio tra Fs e Ferrovie Nord, la rete ferroviaria regionale.

A Roma Mazzoncini ha i suoi bei problemi: la “clausola etica” contenuta nello statuto di Fs prevede che i dirigenti rinviati a giudizio decadano dall’incarico per motivi reputazionali. E Mazzoncini l’11 giugno è stato rinviato a giudizio per truffa, con l’accusa di aver gonfiato i ricavi da traffico di Umbria Mobilità (azienda regionale assorbita dal gruppo Fs) per ottenere contributi pubblici per circa 6 milioni di euro. Così ora per sostituirlo come ad si sta scaldando Beppe Bonomi, salvo diversa decisione dell’assemblea degli azionisti, cioè del ministro dell’Economia Giovanni Tria, azionista unico.

Ma, qualunque sia la sorte che, a Roma, il “governo del cambiamento” riserverà a Mazzoncini, a Milano il suo piano è già saltato. Il sindaco Giuseppe Sala e il suo assessore al Bilancio Roberto Tasca hanno aperto le porte a Fs nella linea M5 della metropolitana e nel progetto immobiliare milionario degli Scali ferroviari. Il passo successivo doveva essere la creazione di un supergruppo che unisse Fs, Ferrovie Nord e Atm. A opporsi a questa ipotesi fu l’allora capo di Atm, Bruno Rota, che difese il gioiellino dei trasporti milanesi dall’annessione ai disastrati trasporti regionali. Rota pagò con il posto la sua opposizione.

Si disse allora che era stato vittima del suo cattivo carattere, della sua incapacità a trattare affari con Mazzoncini e a obbedire al suo nuovo sindaco. Effettivamente Rota si era messo di traverso alla fusione Atm-Trenord che avrebbe dato vita a una holding a tre (Comune, Regione, Fs): il Comune di Milano sarebbe diventato socio, con il 25%, di un’azienda più grande, ma senza più il controllo del suo sistema di trasporti urbani, che sarebbe passato di fatto sotto il comando di Mazzoncini. Più che un’integrazione, uno scippo.

Cacciato Rota, la “grande integrazione” è comunque naufragata. Ed è saltata perfino l’alleanza – già fatta – tra Fs e Fnm (Ferrovie Nord Milano, controllate da Regione Lombardia). È andato in crisi il matrimonio Trenord (50% di Fnm, 50% di Trenitalia, società Fs). Mazzoncini pretendeva di arrivare al 51%, promettendo in cambio non meglio precisati investimenti. Ma Regione Lombardia e Fnm negli ultimi anni hanno speso 450 milioni per rinnovare i treni, invece Fs è rimasta con treni vecchi e investimenti zero, come ben sanno i poveri pendolari lombardi.

Alla fine, il nuovo presidente della Regione Attilio Fontana e il presidente di Fnm Andrea Gibelli hanno detto no e hanno fatto saltare l’alleanza. Ciascuno si prenda i suoi oneri e onori: il contratto di servizio regionale diviso in due, ognuno con i suoi treni, 45% a Fnm, 55% a Fs. Ormai Trenord serviva soltanto ai progetti imperiali di Mazzoncini, passato in pochi anni, grazie all’adesione al Giglio Magico renziano, dalla guida di una piccola società lombarda di autobus al vertice dell’azienda di trasporti di Firenze e da lì (guarda caso) catapultato al comando delle Fs.

In questi anni ha perseguito un programma bulimico di crescita, con acquisizioni di attività all’estero senza logica e a prezzi folli e, in Italia, tentando di conquistare le aziende di trasporto pubblico delle grandi città (Milano, Roma, Napoli…). Programma fallito. Lo scippo di Atm non è riuscito e Trenord è scoppiata. Meno male che qualcuno si è messo di traverso. Forse bisogna ringraziare Rota e il suo “cattivo carattere”, che in realtà era la normale difesa degli interessi della sua azienda e dei cittadini milanesi.

 

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Il Fatto quotidiano, 19 luglio 2018
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