Perchè non andrò a votare al referendum (poi voi fate come vi pare)
No, non andrò a votare al “referendum sull’autonomia” in programma domenica prossima in Lombardia e in Veneto. Mi spiace non votare, perché ogni elezione e ogni referendum sono una festa dei cittadini e della democrazia. Ma questa volta il diritto a far sentire la mia voce lo eserciterò non partecipando, per accrescere la percentuale (che spero sia alta) dei non votanti. Ecco le ragioni della mia scelta: non voglio partecipare a un referendum che non è un modo per dare davvero la parola ai cittadini, ma è un imbroglio e una manovra politica di parte.
Le due consultazioni in Lombardia e in Veneto sono promosse sulla base dell’articolo 116 della Costituzione: prevede che ogni Regione possa aprire una trattativa con il governo per chiedere più autonomia in alcune materie. La trattativa può essere aperta anche senza un referendum: perché mai, allora, Roberto Maroni e Luca Zaia non l’hanno avviata, come ha già fatto la Regione Emilia Romagna? Perché hanno trovato più conveniente usare l’arma del referendum per farsi un pezzo di campagna elettorale gratis, anzi, pagata dai cittadini invece che dal loro partito. E per regolare conti interni alla Lega: Maroni torna a occupare la scena politica riproponendosi come leader della Lega autonomista e nordista, distinguendosi da un Matteo Salvini che sta invece trasformando la sua Lega nazionale in una brutta copia italiana del Front National di Marine Le Pen. Davvero l’obiettivo di Maroni e Zaia è una maggiore autonomia per le loro regioni? Ma allora perché non l’hanno concessa quando erano ministri (dal 2008 al 2011) del governo di centrodestra?
L’imbroglio
C’è anche di peggio: il referendum del 22 ottobre è proprio un imbroglio, perché truffa i cittadini chiamati a votare. Potranno ottenere, in caso di vittoria del sì, ciò che hanno già, e cioè la possibilità che la Regione vada a Roma a chiedere più autonomia. Ma non potranno ottenere quello che i leghisti – gli unici a fare campagna elettorale (con i soldi nostri) – promettono. Vediamo: promettono, sul sito della Regione Lombardia, una “più ampia competenza in materia di sicurezza, immigrazione e ordine pubblico”. Falso: la sicurezza, l’immigrazione e l’ordine pubblico sono tutte materie riservate al governo centrale.
E ancora: promettono di tenere in Regione i soldi delle tasse, tanto che alcuni sindaci leghisti lombardi hanno scritto, in una lettera mandata ai cittadini (sempre a spese nostre), che scopo del referendum “è di trattenere almeno la metà dei 56 miliardi in tasse che ogni anno versiamo al governo centrale di Roma”. Falso: la materia fiscale resta di pertinenza del governo centrale, tanto che la Corte costituzionale ha bocciato un quesito referendario presentato in Veneto che chiedeva: “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’80 per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”.
Non si può. E non è nemmeno giusto. Lombardia e Veneto sono già le regioni più ricche d’Italia. Eppure hanno dimostrato di non saper fermare, neppure dentro il loro territorio – gestendo sanità, trasporti, assistenza – la tendenza all’aumento delle disuguaglianze, con i ricchi (pochi) che diventano sempre più ricchi e i poveri (tanti) che diventano sempre più poveri. Ma poi, più autonomia per fare che cosa? Meglio abolirle, le Regioni, che hanno moltiplicato per venti quella che i leghisti chiamavano un tempo “la malapolitica di Roma ladrona” e la casta di privilegiati che vivono di politica.
Leggi anche:
– Ma la Lombardia e il Veneto non sono la Catalogna
– Il referendum-propaganda di Bobo a spese nostre