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NoTav. Il tempo si è fermato a Chiomonte

NoTav. Il tempo si è fermato a Chiomonte

Per raggiungere il cantiere più difeso del mondo in tempo di pace bisogna salire da Torino fino a Bussoleno e da qui fino a Chiomonte, per una strada statale impavesata di bandiere bianche con la scritta No Tav e percorsa da camionette dei carabinieri, della polizia, dell’esercito. Poi ci si inerpica ancora fino alla galleria che inghiotte l’autostrada del Frejus, per risputarla verso Bardonecchia e Modane, in Francia.

Sopra Chiomonte, il primo posto di blocco. Cancelli, alte barriere difese con rotoli di filo spinato. Da un prefabbricato escono i carabinieri del check-point che chiedono i documenti, fanno i controlli, parlottano alla radio, si segnano il numero di targa dell’auto, chiedono perché vuoi passare. Ricevuto il via libera, si prosegue su una strada dove sono parcheggiati i pullman azzurri della polizia, attrezzati con alte grate di metallo che proteggono parabrezza e finestrini. Su uno, restano i segni di una vecchia battaglia: la vernice rossa che macchia fiancata e parabrezza.

Più oltre, ci sono solo le vigne di avanà, che tra qualche giorno sarà vendemmiato e darà un vino rosso che si trova solo qui, in Val di Susa. Solo qui, del resto, succedono tante altre cose. L’auto prosegue lentamente fino al museo della Maddalena, che un tempo era visitabile e che mostrava monete, frammenti di stoviglie e di tombe, dal Neolitico alla Seconda età del Ferro.

Non si può proseguire oltre. Il passo è sbarrato da due alte recinzioni successive, sormontate entrambe dal filo spinato. Al cancello “Museo 5” chiedo di entrare per visitare la necropoli del 4000 avanti Cristo. Al di là delle grate, un gruppo di Alpini in tuta mimetica. Un ufficiale mi chiede di nuovo il documento, si allontana, chiede ordini alla ricetrasmittente. Dopo qualche minuto d’attesa, torna al cancello e mi dice che no, non è possibile passare.

Il buco nella roccia scavato dopo vent’anni di progetti, dibattiti, polemiche, battaglie non si vede, da qui, e non si può vedere, come la vicina necropoli del Neolitico. Eppure è a poche centinaia di metri. È l’accesso al tunnel geognostico che è stato finalmente scavato: 7 chilometri per saggiare la roccia, in vista dello scavo vero e proprio, quello del tunnel più contestato d’Europa, quello per farci passare i treni ad alta velocità e ad alta capacità della linea Torino-Lione.

Lo scontro Tav-NoTav, che ha a lungo occupato le prime pagine dei giornali e ha infiammato e diviso politici e cittadini, oggi è dimenticato. Fuori dalla Val di Susa, nessuno parla più della Torino-Lione e nessuno ricorda più l’esistenza di un movimento NoTav. Che fine hanno fatto i proclami di guerra lanciati dalle due parti? C’è ancora la volontà politica di realizzare la Torino-Lione? E c’è ancora il movimento NoTav? Per rispondere a entrambe le domande bisogna salire fin quassù, tra le barriere di filo spinato e le vigne di avanà della Valsusa.

Gli elefanti di Annibale

Prima notizia. Il progetto Tav c’è ancora. Dopo vent’anni di progetti, lotte, modifiche, cambiamenti e incertezze, il tanto contestato grande buco nella montagna lo vogliono ancora fare. Sembrava tutto rallentato, anzi sospeso. In due decenni, non è stato ancora scavato neppure un metro del tunnel di base e i 7 chilometri del tunnel geognostico realizzati finora sembrano più un risultato da sventolare come una bandiera, per non darla vinta ai NoTav.

“Il Tav ha un alto valore simbolico, che è quasi superiore a quello effettivo”, ha dichiarato a luglio 2017 il presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino. La Francia, d’altra parte, aveva annunciato nella primavera scorsa una “pausa di riflessione” e il nuovo presidente Emmanuel Macron non perde occasione per ripetere che deve mettere a posto i conti dello Stato.

Ma due incontri, la settimana scorsa, hanno rilanciato il progetto. Martedì 26 settembre, Roma: la conferenza nazionale dei servizi, con i rappresentanti di governo, Regione, Comuni valsusini e della società italofrancese Telt che dovrà fare i lavori, ha discusso l’ultima variante del progetto. Mercoledì 27 settembre, Lione: il vertice tra il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni e il presidente francese Macron ha confermato il progetto. “Siamo entrambi impegnati affinchè il troncone transfrontaliero della Torino-Lione sia portato a buon fine. Il tunnel di base deve essere concluso”, ha dichiarato Macron.

In realtà qualche problema resta ancora aperto e sarà affrontato da un gruppo di lavoro misto italo-francese. Macron vuole passare dall’attuale finanziamento annuale a quello pluriennale e soprattutto vuole alleggerire i conti dell’opera, facendola pagare almeno per il 50 per cento non allo Stato francese, ma ai camionisti che passano sulle strade della Francia, attraverso l’Eurovignette.

Quanto costa il grande tunnel? Già spesi 1,8 miliardi di euro per la progettazione. Ora, per la costruzione, ne servono altri 8,3 che dovranno essere pagati al 25 per cento dalla Francia (2 miliardi), al 35 per cento dall’Italia (3 miliardi) e al 40 per cento dall’Europa (3,3 miliardi). Ai francesi costa 200 milioni l’anno per dieci anni, 300 l’anno all’Italia.

“Assurdo che noi italiani dobbiamo pagare di più, per un tunnel che è in gran parte in territorio francese”, protestano i NoTav. “Dei 57 chilometri della galleria, 45 sono in Francia e solo 12 in Italia”, spiega Claudio Giorno, storico esponente del movimento. “Ma noi pagheremo di fatto il 58 per cento dei lavori: ogni chilometro ci costerà 245 milioni, mentre i francesi pagheranno solo 48 milioni a chilometro”.

Gli risponde a distanza Mario Virano, direttore generale di Telt: “È una normale compensazione, perché poi la linea ferroviaria francese, dal tunnel a Lione, è tripla di quella italiana, dal tunnel a Torino”.

Avanti tutta, dunque. Con una sola variante di rilievo, quella discussa dalla conferenza dei servizi del 26 settembre: il cantiere non si fa più a Susa, per cominciare a scavare la galleria su verso la Francia, ma resterà qui a Chiomonte e scaverà giù verso Susa. Per motivi di “sicurezza”, dicono. “Ma nel senso di security, non safety”, ribatte Claudio Giorno. “Non è la sicurezza dei lavoratori che faranno gli scavi, né dei cittadini che li subiranno, bensì la difendibilità militare del cantiere, più facile quassù e quasi impossibile a Susa”.

La Torino-Lione, sostiene il ministro Graziano Delrio, “farà bene all’economia, alla logistica, alle persone, insomma all’Italia. La direttrice Ovest ha bisogno di una cura del ferro per spostare su rotaia le merci che viaggiano ancora soprattutto su gomma”. Gli fa eco Gentiloni: “Questa linea è di importanza strategica”.

Il movimento NoTav risponde ripetendo le cifre diffuse dagli economisti e dagli studiosi dei trasporti: i passeggeri e le merci in viaggio tra Italia e Francia sono in continuo calo da oltre vent’anni. “Per i passeggeri, l’alta velocità fra Torino (o Milano, o Roma) e Parigi c’è già e si chiama voli low cost”, dice con una battuta Marco Ponti, professore del Politecnico di Milano.

Quanto alle merci, la linea ferroviaria esistente è già più che sufficiente a coprire il fabbisogno: può trasportare fino a 20 milioni di tonnellate l’anno. Nel 1994 ne ha portate 10, poi è cominciata una diminuzione ininterrotta fino alle 3 tonnellate di oggi. Verso ovest è in calo, del resto, anche il trasporto su gomma.

“È chiaro che la Torino-Lione è un’opera inutile”, scandisce Sandro Plano, storico sindaco di Susa, oggi presidente dell’Unione montana della valle, esponente del Pd ma da sempre schierato con i NoTav. “È un progetto figlio degli anni Ottanta, oggi i numeri ci dicono che basta e avanza la linea che c’è già. La nostra protesta è cominciata negli anni Novanta, quando il sentire comune degli amministratori locali e dei cittadini era di non far devastare la nostra valle da un’opera inutile. Qui ci hanno già fatto passare la ferrovia, la strada statale, l’autostrada, l’elettrodotto. Ci fanno passare di tutto, fin dai tempi di Annibale che ci ha portato anche gli elefanti. Immaginatevi di vivere in un appartamento con il corridoio sempre occupato da gente che passa. La Val di Susa è così”.

Gemma Amprino, sindaco di Susa per un mandato, aveva come slogan: “Susa di nuovo grande”. Aveva anticipato Donald Trump? No, aveva creduto alle sirene Tav che promettono di creare a Susa una “stazione internazionale”: “Ma chi mai arrivando da Lione o da Parigi dovrebbe fermarsi a Susa prima di raggiungere Torino?”.

Resta invece ottimista Virano, secondo cui l’offerta creerà la domanda: “Io a casa ho una vecchia, bellissima Valentine, la macchina per scrivere rossa disegnata da Ettore Sottsass. Funziona benissimo, potrebbe scrivere migliaia di pagine, non è ‘satura’, ma non la uso, perché per scrivere adopero il computer. Così la vecchia linea ferroviaria: non è ‘satura’ ma va fuori mercato, ci vogliono tre locomotori per portare i treni merce su fino a 1.300 metri. In Italia ci sono sette valichi alpini: tutti hanno un tunnel di base. Lo avrà anche il passaggio a ovest, altrimenti i trasporti verso la Francia (e la Spagna) passeranno dalla Germania e l’Italia sarà tagliata fuori”.

Il Cappellaio Matto

Le seconda notizia che si scopre venendo quassù, nelle nebbioline che annunciano l’arrivo pieno dell’autunno, è che il movimento NoTav c’è ancora. Nel resto d’Italia contano solo gli scontri, le battaglie, gli attacchi violenti al cantiere, i processi, gli antagonisti, gli anarchici… Qui c’è invece una comunità di cittadini che da anni ha costruito iniziative, discussioni, ma soprattutto stili di vita, luoghi d’incontro, reti di conoscenze e di affetti.

Giovani cresciuti a pane e NoTav o vecchi che hanno identificato la loro vita con la difesa della Valle hanno un’esperienza in comune: non sono persone che fanno la loro vita e poi impegnano qualche ora nelle attività di un movimento; no, per loro vita e movimento sono una cosa sola.

Così oltre il check-point della Maddalena trovo Gianni, che cura il pezzo di terra comprato insieme ad altri mille per poter entrare nell’area di cantiere, cura gli alveari e raccoglie il miele. Tutti i mercoledì, aperipranzo alla Colombera. Tutti i venerdì, apericena fuori dal check-point. Domenica 24 settembre c’è stata una festa dopo che per tutta la settimana erano stati dipinti in valle i murales di Blu e di Scift. A luglio a Venaus c’è stato il “Festival dell’Alta felicità” con musicisti e artisti, Elio Germano e Stefano Benni, Luca Mercalli e Lo stato sociale, Africa unite e Bandabardò.

“Siamo un movimento che mette insieme madamine ben educate e ragazzi con i capelli rasta”, dice il guardaparco Luca Giunti. Al presidio NoTav di Borgone trovo un gruppo di pacifici cittadini che chiacchierano amabilmente. Una madamina sorride: “Il progetto del Tav sembra disegnato dal Cappellaio Matto. A una manifestazione mi sono guardata attorno e ho pensato: chissà che cosa avrebbe detto la mia mamma se mi avesse visto oggi, attorniata da tutte queste bandiere anarchiche. Ma noi difendiamo la nostra Valle dall’ennesimo Annibale che ci tratta come un corridoio dove passare; e difendiamo il nostro Paese, l’Italia, da un’opera inutile”.

Il Fatto quotidiano, 2 ottobre 2017
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