Mani pulite, le sette post-verità
1. Mani Pulite fu un’operazione politica che eliminò per via giudiziaria un intero sistema che aveva garantito 50 anni di democrazia in Italia.
È stata una grande, ma ordinaria indagine giudiziaria, Mani pulite, non un’operazione politica. Partì da una piccola inchiesta su una tangente da 7 milioni di lire che poi, come nel gioco del domino, si allargò mazzetta dopo mazzetta e portò alla luce un gigantesco sistema della corruzione. E poté svilupparsi grazie a un insieme di concause. L’abilità investigativa dell’ex poliziotto Antonio Di Pietro e degli altri pm a cui ilnuovo Codice di procedura penale del 1989 aveva passato la direzionedelle indagini e il coordinamento della polizia giudiziaria. La crisi economica, che aveva assottigliato il denaro pubblico da destinare agli appaltie dunque i margini per le mazzette, il che rese gli imprenditori più disponibili a denunciare i politici che chiedevano loro tangenti in cambiodi vantaggi sempre meno lucrosi. La stanchezza per lo strapotere dei partiti e l’insofferenza verso una corruzione sempre più famelica, sfacciata e plateale (le barzellette sui socialisti ladri erano diventate fenomeno di costume, come quelle sui democristiani mafiosi).
La caduta del muro di Berlino, con la conseguente fine della Guerra Fredda e del mondo divisoin due blocchi: tutti fattori geopolitici che fino al 1990 avevano resoimpossibile il ricambio al governo e non processabili i partiti della maggioranzaanticomunista. Nella nuova situazione – giudiziaria, economica, politica, sociale, geopolitica – dei primi anni ’90, le indagini sulla corruzione, che una partedella magistratura aveva già tentato in precedenza (fermandosi però sempre ai singoli episodi, o addirittura infrangendosi dinanzi ai sistemi di insabbiamento dei vari “porti delle nebbie”), poterono allargarsi e risalireai livelli superiori e scoperchiare quello che era non un insieme di casi isolati e slegati fra loro, ma un sistema organico e organizzato di regolazionedei rapporti tra imprese e politica. Poi furono non i giudici nei processi, ma gli elettori nelle urne, a far saltare il sistema dei partiti della Prima Repubblica, ormai screditati, e a costringere la stessa classe dirigente a cambiare (almeno in apparenza) il quadro politico. Tant’è che il primoa beneficiarne fu il più abile figlio dell’Ancien Regime corrotto, Silvio Berlusconi, grazie alle sue capacità mimetiche e trasformistiche, agevolate dal suo strapotere mediatico e pubblicitario.
2. Mani Pulite ha salvato i “comunisti” e ha annientato gli anticomunisti, cioè i democristiani e soprattutto i socialisti.
A guardare i fatti, i “comunisti” non sono stati affatto salvati: il primo politico arrestato da Mani pulite non fu il socialista Mario Chiesa (amministratore di un ospizio comunale), ma il pidiessino ex comunista Epifanio Li Calzi, assessore comunale all’Edilizia, deceduto nel 2013. Dopo di lui, finì in carcere o sotto indagine l’intera dirigenza del Pds milanese: i “cassieri” occulti Luigi Carnevale e Sergio Soave, il segretario provinciale Roberto Cappellini, l’ex vicesindaco Roberto Camagni, l’assessore Massimo Ferlini, il segretario provinciale Barbara Pollastrini e il parlamentare Gianni Cervetti (gli ultimi due poi assolti). A Roma, le indagini giunsero fino al tesoriere nazionale Marcello Stefanini e al responsabile del patrimonio immobiliare Marco Fredda. Furono arrestati e condannati il funzionario Primo Greganti e il responsabile del settore energia Giovanni Battista Zorzoli. Il pool indagò anche sulle coop rosse, sugli appalti dell’Enel e dell’Alta velocità e anche su una misteriosa valigia piena di soldi che Raul Gardini portò nella storica sede del Pci di Botteghe Oscure, di cui però non si riuscì a individuare il destinatario (anche per la morte dei principali protagonisti della vicenda).
Le indagini ricostruirono un sistema in cui i partiti di governo partecipavano direttamente alla spartizione delle tangenti, mentre il Pci-Pds erafinanziato attraverso una quota degli appalti pubblici assegnati alle cooperativerosse che poi finanziavano, perlopiù legalmente, il partito. Trannea Milano, dove la corrente “migliorista” del Pci-Pds era entrata a pienotitolo nel sistema delle mazzette con, appunto, i “cassieri” Carnevale e Soave; e in alcuni sistemi nazionali come quello, ripetiamolo, dell’energiae dell’Alta velocità. Il Psi apparve più colpito da Mani Pulite perché il suo padre-padrone Bettino Craxi risiedeva e operava a Milano (sotto la competenza diretta di quella procura, diversamente dai segretari degli altri partiti, con base perlopiù a Roma) e perché gli imprenditori e i cassieri di area socialista si rivelarono i più disponibili a confessare, rendendopiù facili le indagini. Inoltre, il Psi aveva la “panchina corta”: rispetto a Pci e Dc era meno compartimentato, privo di filtri organizzativi tra icassieri delle mazzette e il segretario nazionale. Infine, Craxi si rivelò l’unico segretario di partito che rubava anche per sé e senza alcuna precauzione: come raccontano alcuni testimoni, i soldi gli venivano consegnati in grandi buste gialle direttamente nel suo ufficio milanese, in piazzaDuomo 19.
3. Mani Pulite usò il carcere come forma di tortura e le manette per estorcere confessioni.
La decisione di mandare in carcere gli indagati veniva presa non dalpool di Mani Pulite, ma dai giudici delle indagini preliminari (i gip),come previsto dalla legge. Quanto alle confessioni, molti degli indagati le rendevano senza essere arrestati o ancora prima che scattassero le manetteai loro polsi («Cominciavano a parlare già al citofono», ricorda ironico Davigo). Se una percentuale minima di indagati finivano in carcere, era per impedire – sempre nel rispetto scrupoloso della legge – che potesse fuggire, o reiterare il reato o inquinare le prove, intimidendo testimonio concordando versioni di comodo o distruggendo documenti. Chi confessavaveniva rimesso in libertà perché erano cadute le esigenze cautelari:non poteva più né ripetere il reato, né inquinare le prove, avendo reciso ilvincolo di omertà che lo legava all’organizzazione criminale, rendendosi inaffidabile agli occhi dei complici. «Il ragionamento va dunque rovesciato», spiega Davigo: «non li mettevamo dentro per farli parlare, ma li mettevamo fuori dopo che avevano parlato».
4. Mani Pulite ha indotto al suicidio molti arrestati.
È un argomento drammatico e ricattatorio, questo dei suicidi, perchél’atto è una scelta estrema che soltanto chi lo compie potrebbe spiegare. In ogni caso, checchè se ne dica, nessun indagato di Mani Pulite si è tolto lavita in carcere. Erano indagati, ma a piede libero, il segretario del Psi di Lodi, Renato Amorese, e il deputato socialista, Sergio Moroni, entrambi morti suicidi. Era libero anche Raul Gardini, che non sopportò il pesodelle accuse che avrebbe dovuto confessare di lì a qualche giorno nell’interrogatoriogià fissato in Procura. Morì in carcere, invece, il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, ma il pool Mani pulite l’aveva già fatto scarcerare:era trattenuto in cella da altri magistrati per una diversa indagine, quella sulla tangente Eni-Sai (in cui, post mortem, risultò poi colpevole), enon per estorcergli confessioni, ma perché stava cercando di inquinare leprove, mandando a dire ai coimputati di non raccontare quanto sapevano. Amorese, in una lettera ai familiari, spiegò la sua drammatica scelta conil fatto di non riuscire a reggere la vergogna di leggere il suo nome nellecronache di Tangentopoli. Ne scrisse una anche a Di Pietro: «La ringrazio per la sensibilità, pur nella rigorosità giusta delle sue funzioni».
Anche Moroni lasciò una lettera, in cui non se la prendeva con i magistrati, ma con i compagni del Psi che l’avevano emarginato e isolato. Uno diloro, Loris Zaffra, raccontò: «Con Moroni ne avevamo discusso la scorsaestate. Aveva molto sofferto per il cordone sanitario che gli era statofatto attorno. Tangentopoli ha messo a nudo, oltre al giro delle tangenti,la slealtà dei rapporti politici. Sei stato arrestato? Peccato per te, entri nel cesto delle mele marce. Gli altri, che con te hanno diviso errori e responsabilità, si girano dall’altra parte. Inaccettabile». Dopo la morte di Moroni, Craxi commentò: «Hanno creato un clima infame». Il coordinatore del pool Gerardo D’Ambrosio, addolorato ma duro, replicò: «Il clima infame l’hanno creato loro. Noi ci siamo limitatia scoprire e perseguire fatti previsti dalla legge come reati. Poi c’è ancora qualcuno che si vergogna e si suicida». E Davigo: «Le conseguenze deidelitti devono ricadere su chi li ha commessi, non su chi li ha scoperti».
5. Mani Pulite fu ispirata o manovrata da poteri occulti (la Trilateral, i poteri forti, gli americani, la Cia…) che volevano mettere fine alla Prima Repubblica e impossessarsi delle aziende di Stato italiane.
Anche qui, la verità storica è molto più prosaica e banale. Nel biennio 1992-’93 l’Italia vive una grande trasformazione politica ed economica,nel contesto della profonda mutazione geopolitica internazionale (la fine della Guerra Fredda). Molti poteri, italiani e non, cercano di incunearsiin questa svolta storica e provano a pilotarla per i propri interessi: la massoneriatenta di sostituirsi ai partiti morenti; Cosa nostra va a caccia di nuovi referenti e tratta nuovi equilibri con lo Stato; le centrali economiche internazionali provano a influire sulla metamorfosi del sistema italiano; alcuni imprenditori portano a casa a prezzi di saldo pezzi dell’industria di Stato. Ma non c’è alcun complotto. Gli Stati Uniti, molto attentia ciò che accade in casa nostra fin dal dopoguerra, tengono sotto osservazione l’evoluzione italiana, ma con maggiore distacco rispetto a prima, quando il nostro Paese era terra di confine tra i due blocchi e la Dc era blindata al governo e improcessabile. Dopo l’implosione dell’impero sovietico, gli americani lasciano che l’Italia segua il suo destino. E le indagini di Mani pulite possono decollare.
6. Il protagonista di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, era un personaggio spregiudicato e corrotto.
«Da che pulpito viene la predica», verrebbe da dire, citando Davigo: a dare lezioni di etica a Di Pietro e agli altri magistrati del Pool hanno provato personaggi pesantemente coinvolti nel sistema di Tangentopoli, attaccando i loro accusatori per tentare di riabilitare se stessi. Quanto a Di Pietro, è stato indagato in lungo e in largo, decine di volte, senza che sia stato trovato un solo elemento di rilievo penale a suo carico. La Procura di Brescia, imbeccata dalle denunce di fior di inquisiti, ha aperto un’infinità di procedimenti sul suo conto, a cui il diretto interessato si è disciplinatamente sottoposto, dopo essersi dimesso prima dalla magistratura e poi da ministro dei Lavori Pubblici. Da tutti i procedimenti è uscito prosciolto con formula piena. Quello che resta è il fango che è stato messo in circolo in una campagna politica e mediatica durata anni e che alla fine è riuscita a raggiungere l’obiettivo di appannare l’immagine dell’uomo che nel 1992-93 era considerato «l’eroe di Mani Pulite», beatificato da gran parte della stampa e della tv con toni enfatici e agiografici oltre ogni limite di decenza e di pudore: quasi fosse santo, veniva chiamato “la Madonna” e perfino il suo linguaggio popolano, pieno di anacoluti e privo di congiuntivi, era lodato come “dipietrese”. Poi, quando il vento cambiò, Di Pietro divenne un villico illetterato, arruffone e spregiudicato. Tutti particolari che non inficiano minimamente il suo meritorio lavoro di magistrato né riducono di un centesimo la colpevolezza degli inquisiti che Di Pietro ha scoperto e fattocondannare. Come osserva spesso Davigo, attingendo dal catechismo della Chiesa cattolica, «la validità del sacramento prescinde dalla moralità di chi lo celebra: la messa è valida anche se il prete ha la fidanzata».
7. Bettino Craxi fu un grande statista morto in esilio, a cui sarebbe ora di dedicare una via o una piazza di Milano.
Non è questo il luogo per valutare le qualità politiche di Craxi, il qualeha sempre diviso l’Italia fra ammiratori e detrattori, dai primi consideratouno statista innovatore e coraggioso, dai secondi un traditore dei valori del socialismo. Comunque sia, è stato riconosciuto colpevole in viadefinitiva dalla Corte di Cassazione, in nome di quel popolo italiano cheegli aveva governato per quattro anni come presidente del Consiglio, direati gravi come l’illecito finanziamento ai partiti e la corruzione. Aveva pienamente accettato, anzi sublimato, il sistema di Tangentopoli, cioè lascientifica spartizione tra i partiti delle tangenti imposte su ogni appaltopubblico. Aveva trasformato il Psi in un’organizzazione in cui la forza politica dei leader locali e nazionali era misurata sulla loro capacità di raccogliere finanziamenti illeciti e mazzette. Lui stesso manteneva saldamente la leadership del partito anche grazie ai soldi delle tangenti, con una grave distorsione del gioco democratico. E utilizzò una parte dei proventi delle mazzette per scopi personali.
Lo documenta la sentenza delprocesso All Iberian (concluso in primo grado con la condanna di Craxie del suo finanziatore occulto Berlusconi, e in appello e in Cassazione con la prescrizione dei reati accertati): almeno 50 miliardi di lire raccolti per il partito e finiti su tre conti svizzeri intestati allo stesso Craxi furono da lui destinati a finanziare il canale televisivo Gbr della sua “amica” Anja Pieroni, per comprarle l’hotel Ivanohe a Roma, per acquistare una casa a New York, per affittare una villa in Costa Azzurra per il figlio Bobo. Ed è un altro fatto documentato giudiziariamente che la gran parte del malloppo milionario delle tangenti del Psi non fosse gestito in Italia dal segretario amministrativo del partito, ma all’estero da vari prestanome personalidi Craxi: Silvano Larini, Mauro Giallombardo, Gianfranco Trojelli e Maurizio Raggio, l’ex barista di Portofino fuggito in Messico con quelche restava del bottino, per sottrarlo al sequestro dopo l’esplosione di Mani pulite.
Da: Mani pulite 25 anni dopo
Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio
Paper First