SEGRETI

Quando il presidente Ciampi ebbe paura del colpo di Stato

Quando il presidente Ciampi ebbe paura del colpo di Stato

Visti da vicino, quei giorni del 1993, delle bombe e delle minacce stragiste, facevano paura. Carlo Azeglio Ciampi era presidente del Consiglio. “Il mio governo ha avuto il triste distintivo di essere stato accompagnato da una serie di attentati terroristici che oggi sappiamo essere di stampo mafioso”: così li ricorda, in un suo libro oggi introvabile, Un metodo per governare, edito dal Mulino nel 1996. “La bomba di via Fauro esplode due giorni dopo il voto di fiducia; una settimana dopo, il 27 maggio, c’è l’attentato di via dei Georgofili a Firenze; il 2 giugno, festa della Repubblica, viene scoperta a pochi metri da Palazzo Chigi un’auto piena di esplosivo, mentre, riunito con i sindacati e Confindustria, conducevo la trattativa sul costo del lavoro; il 27 luglio i gravissimi attentati a Roma e a Milano”. Con il misterioso black-out che isola per ore Palazzo Chigi.

Oggi sappiamo che a mettere la bombe sono stati uomini di Cosa nostra. Ma da soli? Senza che nessuno indicasse loro obiettivi così sofisticati, due basiliche romane e il Padiglione di arte contemporanea a Milano? “Gli attentati del 1993 sono di più difficile lettura”, scrive Ciampi, “perché apparentemente non hanno dei precisi obiettivi ‘militari’, non perseguono l’eliminazione fisica di soggetti pericolosi per l’organizzazione mafiosa. Perché questi attentati durante il governo Ciampi? Forse che con esso ogni aggancio è impossibile, irrecuperabile? È forse per questo che, con una strategia stragistica, si vuole dimostrare l’incapacità di controllo dell’esecutivo sul territorio nazionale, e per tale via delegittimarlo?”. Insomma: forse che si volesse fiaccare il governo per far passare la linea della trattativa?

Nel 2010, Ciampi rincara la dose: “Ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato”, dichiara. “Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi”. Ma i colpi di Stato non li fa Cosa nostra. Almeno non da sola. E infatti l’allora presidente del Consiglio, subito dopo le bombe del luglio ’93, decide a sorpresa di partecipare alla manifestazione del 2 agosto 1993 a Bologna, in ricordo della strage alla stazione, e quel giorno, nel suo intervento in piazza, dice: “È già stato travolto un immenso labirinto di interessi illegali, frutto delle degenerazioni della politica e dell’uso distorto delle risorse pubbliche. È questa svolta messa in atto, nel massimo ordine democratico, dai cittadini elettori, dai loro giudici, dal loro Parlamento, garantita dal capo dello Stato: è questo processo di vasto cambiamento l’obiettivo del nuovo terrorismo (…), è contro questa concreta prospettiva di uno Stato rinnovato che si è scatenata una torbida alleanza di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune”.

Mafia e politica, dunque, insieme in una nuova strategia terroristica: così Ciampi interpreta, a caldo, le stragi del ’93. Non senza lo zampino di apparati dello Stato, tanto che il presidente mette subito mano a una riforma dei servizi segreti: “L’interazione delle diverse crisi in atto – sociale, economica, morale e politica – poteva dare luogo in quell’estate del 1993 a una miscela esplosiva”, ragiona nel suo libro del ’96. “Questi eventi mi indussero a porre mano a una radicale ristrutturazione dei servizi di sicurezza per accrescerne l’efficienza, migliorarne il coordinamento. Un disegno di riforma venne presentato al Parlamento in settembre, ma nonostante gli sforzi del governo non riuscì a superare neppure l’iter in Commissione”.

(Il Fatto quotidiano, 29 ottobre 2014)

1993, nuovo terrorismo

Non ha memoria chi si è stupito dell’intervento di Carlo Azeglio Ciampi, che nei giorni scorsi, ricordando l’estate del 1993, ha dichiarato: “Ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi”. L’allora presidente del Consiglio aveva infatti deciso a sorpresa, subito dopo le bombe del luglio ’93 a Firenze, Roma e Milano, di partecipare alla manifestazione del 2 agosto 1993 a Bologna, in ricordo della strage alla stazione. Quel giorno, nel suo intervento aveva detto: “È già stato travolto un immenso labirinto di interessi illegali, frutto delle degenerazioni della politica e dell’uso distorto delle risorse pubbliche. È questa svolta messa in atto, nel massimo ordine democratico, dai cittadini elettori, dai loro giudici, dal loro Parlamento, garantita dal capo dello Stato: è questo processo di vasto cambiamento l’obiettivo del nuovo terrorismo (…), è contro questa concreta prospettiva di uno Stato rinnovato che si è scatenata una torbida alleanza di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune”.

Mafia e politica, dunque, insieme in una nuova strategia terroristica: così Ciampi interpreta, a caldo, le stragi del ’93. E lo scrive anche in un libretto oggi introvabile, edito dal Mulino nel 1996 (Un metodo per governare), che riporta quel discorso fatto da Ciampi a Bologna il 2 agosto, contenuto in un capitolo inquietante, intitolato “L’attacco mafioso”, di cui riportiamo qui di seguito ampi stralci. La domanda centrale che Ciampi si pone (e ci pone) è: “Perché questi attentati durante il governo Ciampi? Forse che con esso ogni aggancio è impossibile, irrecuperabile? È forse per questo che, con una strategia stragistica, si vuole dimostrare l’incapacità di controllo dell’Esecutivo sul territorio nazionale, e per tale via delegittimarlo?”. È la proclamazione del netto rifiuto di fornire qualunque “aggancio”, di intavolare qualunque “trattativa”. Con Cosa nostra, ma non solo: il capitolo infatti si chiude, significativamente, con un accenno al tentativo (fallito) di riformare i servizi segreti.

(Il Fatto quotidiano, 4 giugno 2010)

 

di Carlo Azeglio Ciampi

Il mio governo ha avuto il triste distintivo di essere stato accompagnato da una serie di attentati terroristici che oggi sappiamo essere di stampo mafioso. La bomba di via Fauro esplode due giorni dopo il voto di fiducia; una settimana dopo, il 27 maggio, c’è l’attentato di via dei Georgofili a Firenze; il 2 giugno, festa della Repubblica, viene scoperta a pochi metri da Palazzo Chigi un’auto piena di esplosivo, mentre, riunito con i sindacati e Confindustria, conducevo la trattativa sul costo del lavoro; il 27 luglio i gravissimi attentati a Roma e a Milano. (…)

L’attacco di Cosa nostra contro lo Stato nel corso di quel governo richiede una riflessione. Gli attentati contro i giudici Falcone e Borsellino nel 1992 rappresentano una svolta nelle strategie criminali di Cosa nostra. La loro lettura non appare difficile: la mafia, che avverte un crescente isolamento, una più intensa pressione investigativa, attacca duramente le due persone più esposte nella lotta contro la criminalità. Gli attentati del 1993 sono di più difficile lettura, perché apparentemente non hanno dei precisi obiettivi “militari”, non perseguono l’eliminazione fisica di soggetti pericolosi per l’organizzazione mafiosa. Perché questi attentati durante il governo Ciampi? Forse che con esso ogni aggancio è impossibile, irrecuperabile? È forse per questo che, con una strategia stragistica, si vuole dimostrare l’incapacità di controllo dell’Esecutivo sul territorio nazionale, e per tale via delegittimarlo?

È interessante notare anche la scelta dei tempi per queste aggressioni armate contro le istituzioni. La mattina del 2 giugno era iniziata bene: avevo ricevuto poco dopo l’alba la telefonata del comandante generale dell’arma dei carabinieri che mi annunciava l’arresto di un boss mafioso importante, il Pulvirenti. A Palazzo Chigi mi aspettava uno di primi incontri con i vertici dei sindacati e della Confindustria per stabilire il percorso che doveva condurre all’accordo sul costo del lavoro. Fu proprio mentre eravamo riuniti nella sala degli Arazzi, che un collaboratore ci interruppe per annunciarci che davanti a Palazzo Chigi era stata trovata una Fiat 500 piena di esplosivo. “È un’intimidazione”, dissi immediatamente. La riunione continuò senza interruzioni. Rilasciai questa dichiarazione: “Né il governo né il Paese si lasciano intimidire dal disegno criminale che sta dietro questi atti minatori; né il governo né il Paese cederanno a queste provocazioni, mentre le forze dell’ordine sono impegnate con successo nell’azione di investigazione e contrasto. Il lavoro governativo proseguirà dunque, con serena determinazione, per raggiungere gli obiettivi di rinnovamento politico e di riaffermazione della moralità civica che il Paese si è proposto”.

Non dimenticherò mai la notte del 27 luglio. Era quello uno dei momenti migliori, più vitali, più esaltanti, per l’esecutivo. Il 23 luglio era stato firmato ufficialmente l’accordo sul costo del lavoro, che rappresentava un elemento strutturale di stabilizzazione del sistema economico e della società civile. Subito dopo, purtroppo, le associazioni di autotrasportatori avevano dichiarato uno sciopero a oltranza per ottenere aumenti tariffari volti a recuperare l’inflazione degli ultimi tre anni. (…) Dissi che non avrei mai accettato simili richieste, perché esse erano contrarie allo spirito dell’accordo firmato con lavoratori e imprenditori (…). Gli autotrasportatori insistettero e misero in atto lo sciopero minacciato, uno sciopero che rischiava di lasciare il paese a corto di derrate alimentari, di carburanti, proprio alla vigilia dell’esodo estivo.

La mattina del 27 luglio, dalle prefetture arrivavano notizie sconfortanti, sui rifornimenti di carburante e di prodotti alimentari. Ma il governo non recedette dalle sue posizioni; pose anzi un termine ultimativo alla sua ipotesi di accordo. La fermezza vinse: nel pomeriggio di quello stesso giorno l’accordo venne firmato sulla base della proposta governativa. La notte, le bombe: a Milano, via Palestro; a Roma, le chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano.

Poco dopo le due di notte riunii a Palazzo Chigi il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Si cercò di capire, furono prese decisioni, date direttive volte a rafforzare l’azione sia di prevenzione, sia di investigazione. La mattina dopo ero in Parlamento dove volli, anche se non richiesto, far precedere le dichiarazioni del ministro dell’Interno, da un mio intervento. (…)

Obiettivamente l’interazione delle diverse crisi in atto – sociale, economica, morale e politica – poteva dare luogo in quell’estate del 1993 a una miscela esplosiva. Si impedì che le polveri si mischiassero, che l’innesco, ricercato nel turbamento dell’ordine pubblico, le facesse esplodere. Questi eventi mi indussero a porre mano a una radicale ristrutturazione dei servizi di sicurezza per accrescerne l’efficienza, migliorarne il coordinamento. Un disegno di legge di riforma venne presentato al Parlamento nel settembre, ma nonostante gli sforzi del governo non riuscì a superare neppure l’iter in Commissione.

 

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